Revista crítica de Derecho Canónico Pluriconfesional / Rivista critica di diritto canonico molticonfessionale
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ISSN 2387-1873 versión impresa
Depósito Legal: MA 2137-2014
La pena: struttura ontologica e dimensione teleologica della pena tra ius ecclesiae e diritto penale italiano
Massimo Luigi FERRANTE*
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Massimo Luigi Ferrante (2015): “La pena: struttura ontologica e dimensione teleologica della pena tra ius ecclesiae e diritto penale italiano”, en Revista crítica de Derecho Canónico Pluriconfesional, n. 2 (febrero de 2015), pp. 175-186.
Resumen: Se hacen en el presente trabajo una serie de reflexiones sobre la significación ontológica y teleológica de la pena, tanto en el Derecho canónico de la Iglesia católica romana como en el Derecho penal de la República italiana. Trata el autor de buscar los puntos de encuentro entre la pena en uno y otro ordenamiento. Existe también, al margen del Derecho penal, una ley moral universal, que con una cierta frecuencia no coincide con los ordenamientos penales de los Estados.
Palabras clave: Derecho penal canónico, Derecho penal italiano, Pena, Ley moral.
Resum: Es fan en el present treball una sèrie de reflexions sobre la significació ontològica i teleológica de la pena, tant en el Dret canònic de l'Església catòlica romana com en el Dret penal de la República italiana. Tracta l'autor de buscar els punts de trobada entre la pena en un i un altre ordenament. Existeix també, al marge del Dret penal, una llei moral universal, que amb una certa freqüència no coincideix amb els ordenaments penals dels Estats.
Key words: Dret penal canònic, Dret penal italià, Pena, Llei moral.
1. Premessa
Affrontare compiutamente la tematica degli scopi della pena costituirebbe opera ciclopica, sicuramente incompatibile con le esigenze di economia di esposizione che caratterizzano il presente lavoro, il quale invece ha come ben più limitato fine quello di cogliere alcuni punti di incontro tra la pena canonica e quella del diritto penale italiano. L'indagine verrà quindi condotta innanzitutto richiamando in estrema sintesi i termini della plurisecolare diatriba in ordine alle finalità della pena, per poi analizzare, in maniera necessariamente cursoria, la questione con riferimento al diritto penale italiano ed a quello canonico. In conclusione verrà proposta una soluzione di carattere sincretico che combini la dimensione teleologica della pena con quella ontologica, soluzione valevole, ad avviso di chi scrive, sia per lo ius Ecclesiae che per il diritto penale italiano.
2. Cenni generalissimi sulla “quaestio” dello scopo della pena.
Come s'è sottolineato in premessa, sarebbe assurdo cercare di fornire in questa sede una panoramica esaustiva del dibattito plurisecolare in ordine allo scopo della pena. Potrà però risultare utile richiamare alla mente in maniera sintetica le linee di sviluppo della quaestio, estremamente disputata.
Ricorrendo a tutte le semplificazioni possibili (delle quali chi scrive chiede scusa), si può dire che nel corso dei secoli si sono delineate tre linee di pensiero sull'argomento: una linea retributiva, una linea generalpreventiva ed una linea specialpreventiva.
All'interno di tali linee si sono sviluppate varie opinioni, che per le esigenze di sintesi supra evocate non potranno essere analizzate a pieno.
Ciò premesso, l'idea della retribuzione come scopo della pena è forse la più risalente, cogliendosi molte tracce di questa nell'antico Testamento, nell'ottica della retribuzione divina.
Semplificando: la pena serve a dare al reo quello che si merita; non occorre individuare una particolare utilità della pena per la società; la pena è quindi absoluta, ossia sciolta da scopi ulteriori1. Da qui l'aggettivo "assolute" con le quali vengono talora designate le teorie retributive. Questa linea di pensiero è resa icasticamente con l'espressione "punitur quia peccatum est". Nonostante questi caratteri comuni, le teorie retributive assumono profili diversi. Da una parte quelle legate alla retribuzione giuridica, intesa come necessità logica di punizione conseguente alla esternazione della voluntas legislatoris nel testo normativo. Emblematica in tal senso è l'opinione hegeliana: il delitto è negazione del diritto, la pena a sua volta è negazione del delitto, essendo quindi negazione di una negazione ha come fine il ristabilimento del diritto2.
Dall'altra le teorie retributive di carattere morale, per le quali la pena costituisce un'esigenza etica insopprimibile della coscienza umana. Tali impostazioni hanno origini diverse, religiose e filosofiche.
Sicuramente religiosa è la concezione della retribuzione divina. Nell'antico Testamento, sopratutto nel Deuteronomio, appare evidente la dimensione retributiva della pena, anche se non mancano riferimenti a scopi di prevenzione generale3: benedizioni per chi osserva la legge4 e maledizioni per chi la viola5; norme di diritto e di procedura penale6; promesse di misericordia per chi osservi la legge divina7. Anche nel nuovo Testamento, pur evidenziandosi in maggior modo il ruolo della misericordia divina8, la dimensione retributiva appare evidente: dalla lettura dei Vangeli sinottici si colgono numerosi brani nei quali le punizioni sono viste in un'ottica retributiva9, come del resto i premi10. Alcuni passi evangelici inoltre sembrano richiamare la proporzione11.
Sul versante filosofico la retribuzione morale risultò pienamente coerente con la filosofia kantiana del "dover essere", e fu espressa con un paradosso nel quale il carattere assoluto della retribuzione intesa come scopo della pena emerge con nitore: "Quando anche la società civile si sciogliesse con il consenso di tutti i suoi membri ( per esempio, il popolo che abita un'isola decidesse di separarsi e di spargersi per tutto il mondo ), l'ultimo assassino, che si trovasse ancora in prigione, dovrebbe prima essere giustiziato, affinché ad ognuno tocchi ciò che i suoi atti meritano e la colpa del sangue non ricada sul popolo che non ha reclamato questa punizione"12.
Una parte delle teorie in questione (definite anche soggettive) si basa sulla persona del reo, il quale merita la pena ma non vedrebbe sminuita la sua umanità fungendo da capro espiatorio. La legge morale universale infatti implicherebbe che ogni essere umano riconosca la propria universale umanità negli altri; il reato costituirebbe un disconoscimento dell'umanità universale esistente nella vittima e quindi anche il disconoscimento dell'umanità del reo; l'espiazione della pena opererebbe il riconoscimento dell'umanità violata dal reato e la riassunzione della propria dignità da parte del reo13.
Più recentemente si è sviluppata una corrente di pensiero, definita neoretribuzionismo, la quale si incentra sui bisogni emotivi di punizione, presenti nella società e nel singolo individuo, derivanti dalla perpetrazione di reati14. Partendo da un approccio derivante dalla psicoanalisi, basato sull'idea che nell'inconscio dell'individuo vi sia il desiderio di trasgressione, si opina che il comportamento di chi commette reati rappresenti un esempio potenzialmente contagioso. La pena servirebbe quindi da un lato a canalizzare l'aggressività dei cittadini determinata dalla commissione del reato, dall'altro a rafforzare la loro fedeltà nei confronti dei valori tutelati15.
Nonostante queste differenze, carattere comune alle teorie retributive è la proporzione: pena meritata è quella proporzionata al fatto posto in essere da chi subisce la pena. Detto con altre parole, retribuire significa dare al soggetto quello che si merita, né di più né di meno.
Diverso il discorso per le altre due linee di pensiero in materia dianzi evocate, le quali invece individuano nella pena una utilità sociale (cosiddette teorie utilitaristiche).
Le impostazioni generalpreventive invocano a giustificazione della pena la funzione di impedire che i consociati commettano il reato per il quale è punito il reo. Anche in quest'ambito si deve registrare una significativa divaricazione: da un lato la concezione più antica, detta della prevenzione generale negativa; dall'altro quella della prevenzione generale positiva.
In base alla prima si ritiene che la pena sia un deterrente per i membri della società rispetto alla commissione dei reati. A tal proposito deve essere riconsiderata la communis opinio che ravvisa i primi sostenitori di tale impostazione negli studiosi ascrivibili all'illuminismo giuridico, in particolare in Feuerbach, nella sua critica al pensiero di Hobbes16, in quanto la linea generalpreventiva ha radici ben più antiche ravvisabili addirittura nel Deuteronomio17 e, unitamente a spunti specialpreventivi, nel Protagora di Platone18.
La seconda è detta positiva poiché ravvisa nella pena una funzione educativa della società attraverso la quale si ottiene l'astensione dei consociati dalla commissione di reati. La previsione di una sanzione penale costituirebbe infatti una conferma dei valori offesi dal reato, determinando a livello sociale la rimozione di impulsi volti a commettere il reato. Detto con altre parole, la pena svolgerebbe una funzione di orientamento culturale dei consociati.
Le teorie ispirate alla prevenzione speciale invece ravvisano l'utilità della pena nell'evitare che il reo delinqua nuovamente.
Anche in questo ambito si registra una significativa divaricazione: da un lato l' impostazione incentrata sulla neutralizzazione del reo; dall'altra le impostazioni volte o alla rieducazione o all'emenda.
La prima considera la pena uno strumento per neutralizzare la pericolosità del reo e quindi la probabilità che questo commetta nuovi reati. In quest'ottica risulta del tutto chiaro che la pena che può conseguire con assoluta certezza tale scopo è quella capitale.
Le seconde si basano su un approccio sicuramente meno cinico, incentrato sulla prevenzione di nuovi reati da parte del reo in base alla sua volontà di non ricadere nell'errore.
In questo novero si distinguono due teorie specialpreventive: quella della rieducazione, che, come si vedrà di qui a breve, ha trovato significativo riconoscimento nel III comma dell'art. 27 della Costituzione italiana, e quella dell'emenda, che ha trovato significativo riconoscimento nel codex iuris canonici.
I concetti di rieducazione e di emenda, pur avendo punti di contatto nella finalità di concreto miglioramento della personalità dell'autore del reato, appaiono distinti in quanto la rieducazione punta alla risocializzazione del condannato, al suo riadattamento sociale, mentre l'emenda ha una funzione penitenziale ed è quindi volta ad una interna rigenerazione morale del reo19.
Questa celere panoramica in ordine alle teorie sugli scopi della pena non deve portare a ritenere che le loro sensibili differenze escludano sia da parte dei legislatori che da parte degli studiosi approcci "polifunzionali", ossia ravvisanti nella pena una pluralità di funzioni: quanto verrà detto nei paragrafi che seguono è probante rispetto a tale assunto.
3. La pena canonica.
Un approccio polifunzionale ha seguito, almeno nell'ultimo secolo, il legislatore canonico. Naturalmente partendo da un'ottica di Giustizia divina: «Fundamentum cuiusvis poenae nequit esse nisi iustitia. Haec obtinet absolute coram Deo, qui omnia mala aequis poenis retribuit, non ad aliquam comparandam utilitatem, quod esset absurdum, sed praecise quia mala sunt. Nullus limes est vel esse potest iustitiae Dei. Iustitia humana aliud fundamentum habere non potest ac iustitia divina; quare idem principium iuri puniendi humano agnoscendum est ac iuri divino, sc. punitur quia iustum est»20.
Il codex iuris canonici del 1917 definiva nel canone 2215 la pena «...privatio alicuius boni ad delinquentis correctionem et delicti punitionem a legitima auctoritate inflicta».
Da tale definizione si colgono gli scopi della pena: l'emenda del colpevole ed il ristabilimento dell'ordine giuridico violato, senza però che la dottrina disconoscesse una funzione generalpreventiva di controspinta psicologica21.
Lo scopo dell'emenda appariva assolutamente preminente nelle pene medicinales; quello retributivo, incentrato sul ristabilimento dell'ordine violato, nelle pene vindicativae22.
Non molto diversa è la situazione nell'attuale codex del 1983.
Il can. 1341, nell'ottica della pena come extrema ratio, stabilisce: «Ordinarius proceduram iudicialem vel administrativam ad poenas irrogandas vel declarandas tunc tantum promovendam curet, cum perspexerit neque fraterna correctione neque correptione neque aliis pastoralis sollicitudinis viis satis posse scandalum reparari, iustitiam restitui, reum emendari».
Quindi anche ora finalità della pena canonica sono l'emenda del condannato e la punizione del delitto23. Ad ulteriore prova di tale realtà nel "Dizionarietto giuridico canonico", contenuto nella edizione italiana del codice di diritto canonico realizzata sotto il patrocino delle Università Lateranense e Salesiana, la pena è definita: «...privazione di un bene, spirituale o temporale, inflitta dall'autorità legittima, al fine di correggere il delinquente e di punire il delitto commesso...»24.
Anche nell'attuale codex queste finalità hanno diverso peso a seconda del tipo di pena: le pene medicinali hanno come scopo principale l'emenda del reo25; le pene espiatorie (equivalenti alle vecchie pene vindicative), pur non prescindendo dall'emenda, tendono alla restaurazione dell'ordine violato26.
In definitiva, la pena canonica ha carattere evidentemente polifunzionale con riferimento alla finalità dell'emenda ed a quella della retribuzione.
4. La pena nel diritto italiano.
Anche nel diritto penale italiano prevale l'idea della polifunzionalità della pena.
Si tratta di un'idea risalente nel tempo. Si consideri, ad esempio, la posizione di uno dei più grandi studiosi italiani di diritto penale dell'Ottocento, Francesco Carrara.
Pur partendo dall'opinione, ascrivibile al filone della retribuzione giuridica, che il fine primario della pena fosse il ristabilimento dell'ordine esterno nella società27, Carrara prese in considerazione anche le teorie generalpreventive e quella della rieducazione di taglio specialpreventivo. Nel suo Programma affermò infatti: "Il concetto di riparazione, col quale esprimiamo il male della pena, ha implicite in sé le tre risultanti di correzione del colpevole, incoraggiamento dei buoni, ammonizione dei male inclinati"28.
Il legislatore del 1930, recependo le istanze scaturenti dal dibattito tra scuola classica29 e scuola positiva30, riorganizzò il sistema sanzionatorio attorno ai poli della prevenzione generale, basata anche sul momento retributivo (funzione satisfattoria), con riferimento alla pena, e della prevenzione speciale con riferimento alle misure di sicurezza31. Per quanto concerne le pene, indicativo è un brano della relazione al codice dell'allora guardasigilli: "Delle varie funzioni, che la pena adempie, le principali sono certamente la funzione di prevenzione generale, che si esercita mediante l'intimidazione derivante dalla minaccia e dall'esempio, e la funzione c.d. satisfattoria, che è anch'essa, in un certo senso, di prevenzione generale, perché la soddisfazione che il sentimento pubblico riceve dall'applicazione della pena, evita le vendette e le rappresaglie..."32.
Per quanto concerne le misure di sicurezza, ad esse venne affidata la funzione di prevenzione speciale in quanto dirette a neutralizzare la pericolosità sociale del reo33.
Successivamente, come è noto, la funzione rieducativa della pena è stata esplicitamente considerata nel secondo comma dell'art. 27 della Costituzione: "Le pene... devono tendere alla rieducazione del condannato".
Tale scelta ha suscitato aspre polemiche in ordine alla sua portata, sminuita dai sostenitori delle teorie retributive34 ed esaltata da coloro che assegnano alla pena il compito precipuo di risocializzazione35. Il dibattito che ne è scaturito ha prodotto in dottrina, pur nella diversità delle posizioni, frutti fecondi36.
Dopo il venir meno dei sinceri entusiasmi in ordine alla funzione rieducativa della pena37, attualmente sembrano prevalere orientamenti "polifunzionali", sia in dottrina38, sia nella giurisprudenza della Corte costituzionale39, anche se non mancano autorevoli voci critiche nei loro confronti40.
5. Il problema della proporzione della pena.
Il dibattito sulla funzione della pena deve fare i conti con la delicatissima problematica della proporzione della pena stessa.
Infatti non tutte le soluzioni appaiono armoniche con l'esigenza che la pena sia proporzionata.
Si pensi innanzitutto alle teorie generalpreventive. La prevenzione generale negativa se portata ai suoi (peraltro coerenti) estremi sviluppi può addirittura risultare inconciliabile con l'esigenza in questione: maggiore la pena, maggiore l'intimidazione.
Anche la prevenzione generale positiva può correre lo stesso rischio: nell'ipotesi in cui il legislatore volesse esaltare un determinato valore agli occhi dei consociati potrebbe far ricorso ad una pena del tutto sproporzionata per tutelarlo.
Anche le teorie specialpreventive non hanno nel loro "DNA" il requisito della proporzione. Ciò appare evidente nell'ottica della neutralizzazione: come s'è già sottolineato, la forma più sicura per evitare che il reo delinqua nuovamente è la pena capitale e, in ogni caso, maggiore la pena detentiva, maggiore la neutralizzazione.
Anche le altre teorie specialpreventive sono denotate, pur se in maniera meno evidente, da tale aporia. Si pensi alla rieducazione: in alcuni casi, ad esempio per i c.d. delinquenti primari, i tempi del processo di risocializzazione potrebbero apparire talmente brevi da suggerire una pena sproporzionata per difetto; per converso, nel caso dei delinquenti abituali tali tempi potrebbero apparire talmente lunghi da suggerire una pena sproporzionata per eccesso.
Analoghe considerazioni valgono, mutatis mutandis, per l'emenda, attese le ineludibili diversità di tempi di correzione legate alle diversità delle coscienze dei corrigendi.
Le uniche teorie che non presentano tale aporia sono, come s'è visto supra, quelle retributive: retribuire significa, giova ribadirlo, dare al reo quello che si merita, né di più né di meno, quindi infliggere una pena proporzionata. La proporzione per queste teorie è quindi in ogni caso necessaria, sia in un'ottica etica (sarebbe immorale punire in maniera sproporzionata) sia in un'ottica giuridica (il male cagionato dal reo deve essere controbilanciato da un male proporzionato al primo).
Pur essendo difficilissimo stabilire con precisione assoluta i parametri sui quali determinare in maniera proporzionata la pena, tuttavia il criterio di misura di fondo appare basato sull'intrinseco disvalore del fatto illecito e sulla colpevolezza41.
Appare quindi evidente la funzione garantista dell'idea retributiva di pena contro il rischio di abusi42.
6. La pena tra essenza e scopo.
Le conclusioni tratte nel paragrafo precedente non devono però portare a ritenere che la retribuzione sia lo scopo primario della pena. Senza poter prendere in considerazione in questa sede tutte le numerose critiche mosse alle teorie retributive43, occorre però porsi un interrogativo di fondo: la retribuzione può essere considerata dal punto di vista logico scopo della pena? La risposta, ad avviso di chi scrive è negativa. Infatti sostenendo che la pena serve a retribuire, ossia a dare al reo quel che si merita, non si fa altro che dire che la pena "serve a punire". Infatti la retribuzione di un male ha necessariamente carattere punitivo-afflittivo (non certo premiale) nei confronti di colui che ha commesso il reato (il quale perciò si merita la pena) e la proporzione (insita nel "DNA" della retribuzione) costituisce una importante linea di discrimine tra la pena e la vendetta. Appare perciò chiaro il carattere tautologico delle opinioni che considerano tout court la retribuzione scopo della pena.
Vedere la retribuzione in un'ottica teleologica costituisce quindi un errore di prospettiva. Più fecondo è invece considerarla sotto il profilo ontologico, non come scopo ma come essenza della pena44. A sostegno di tale affermazione occorre richiamare i ragionamenti poc'anzi svolti per escludere che la retribuzione sia scopo della pena: la pena è una punizione, ha perciò inevitabilmente carattere afflittivo poiché non vi può essere sanzione priva di afflittività; la pena deve essere inflitta a chi ha violato la relativa norma penale incriminatrice, il quale si è comportato in maniera tale da meritare la pena; la pena deve essere proporzionata per distinguersi dalla vendetta. La pena è quindi retribuzione.
Un modus opinandi di questo tipo permette di inquadrarla in maniera equilibrata e rispettosa della persona umana. Partendo dalla retribuzione come essenza della pena si ottiene infatti l'importante risultato che quest'ultima deve necessariamente essere proporzionata, dovendosi infliggere al reo ciò che si merita, né di più né di meno.
Individuata la dimensione ontologica della pena ed acquisito l'importante, conseguenziale, risultato della proporzionalità di quest'ultima come facente parte del suo "DNA", il discorso sugli scopi diventa molto più agevole.
In effetti una visione plurifunzionale appare preferibile. A ben vedere le teorie utilitaristiche hanno infatti, ognuna in base alle proprie diverse caratteristiche, punti di forza.
E' innegabile che la pena abbia una funzione intimidatrice, nell'ottica della prevenzione generale negativa. E' altresì innegabile che mediante il ricorso alla pena o all'inasprimento della stessa si possa esercitare un'autorevole funzione di orientamento culturale, nell'ottica della prevenzione generale positiva.
Non si può nemmeno negare il fatto che la pena possa servire a neutralizzare il reo, il quale privato della libertà personale difficilmente può delinquere.
Risulta anche difficile negare che la pena mirando a far riconsiderare criticamente il reato da parte del suo autore possa far sì che questo si astenga in futuro dal delinquere nuovamente (questa sembra anzi essere la forma più nobile di neutralizzazione...).
A tal proposito occorre però non incorrere in equivoci sul versante canonico. Infatti si potrebbe opinare che nelle pene medicinales il carattere della proporzione debba cedere di fronte alle prevalenti esigenze dell'emenda. L'opinione non risulterebbe però condivisibile: l'aspetto retributivo è stato giustamente ritenuto "medicina dell'anima", lo strumento più efficace perché nella coscienza del reo si destino i più nobili sentimenti morali che lo indirizzino verso la redenzione45.
Quindi rieducazione ed emenda, sia pur con le differenze in precedenza sottolineate, possono essere considerate scopi della pena, la prima con precipuo riferimento al diritto penale italiano, la seconda con precipuo riferimento al diritto canonico.
Resta in ogni caso aperto il problema di come gli scopi in questa sede considerati si combinino fra di loro nella determinazione della pena. Si tratta di una questione di difficile soluzione. In passato, per quanto riguarda il sistema italiano, si poteva tranquillamente sostenere che nella pratica la soluzione venisse demandata esclusivamente alle valutazioni del giudice. Attualmente il discorso è ben più complesso tenendo conto di come possa incidere il c.d. patteggiamento, ossia l'applicazione della pena su richiesta delle parti.
In ogni caso la questione dei rapporti fra i vari scopi può trovare una valida razionalizzazione analizzando la dinamica della pena, come ha fatto una parte importante della dottrina italiana46: nella fase edittale (ossia della comminatoria legislativa) la dimensione generalpreventiva appare prevalente; nella fase giudiziale (ossia della determinazione) e dell'esecuzione (ossia dell'espiazione) invece appare prevalente la dimensione specialpreventiva.
7. Considerazioni conclusive.
Alla fine di questo brevissimo contributo si possono trarre le fila del discorso.
La differenza più evidente tra la pena propria del sistema penale italiano e quella propria del sistema canonico è data dal carattere profondamente etico ed emendativo di quest'ultima, volta alla salus animarum, che spiega, ad esempio, l'esistenza di norme penali che conferiscono al giudice canonico il potere di non applicare la pena47.
Si tratta ovviamente di un carattere che non può essere proprio della pena "laica", per via dei rischi per la libertà personale e per la libertà morale che possono derivare da una "eticizzazione" del diritto penale operata dal legislatore statale.
Nonostante ciò, esistono significativi punti di contatto. Il carattere sanzionatorio, il carattere personale ed il carattere proporzionale sono propri sia della pena canonica che di quella del sistema penale italiano.
Questi caratteri comuni possono portare a ritenere che quanto poc'anzi opinato in ordine all'essenza retributiva valga per entrambe. Inoltre, quanto agli scopi, entrambe rispondono ad istanze sia di prevenzione generale che di prevenzione speciale, sia pur con differenze, derivanti in massima parte dal carattere etico della pena canonica.
Del resto tali convergenze sono possibili in quanto l'ordinamento canonico e quello italiano sono basati sul rispetto della persona umana e dei suoi diritti fondamentali. Le considerazioni sinora svolte non sono invece valevoli per gli ordinamenti nei quali non v'è rispetto di tali diritti. La storia mostra purtroppo numerosi esempi di regimi totalitari nei quali la pena è stata usata come un'arma per reprimere il dissenso perseguitando gli avversari dei detentori del potere. In casi come questi è inutile parlare di retribuzione, prevenzione generale e prevenzione speciale: lo scopo dello strumento penale è quello di terrorizzare al fine di conservare il potere. In casi come questi però occorre chiedersi se si sia in presenza della pena o di un suo simulacro. Alla luce di quanto sinora detto appare del tutto improprio parlare di pena qualora la sanzione sia impiegata per conculcare le libertà, piegare le coscienze, colpire i dissidenti trattandoli alla stregua di delinquenti.
In conclusione, historia docet che il livello di civiltà di un ordinamento giuridico si può cogliere dal suo sistema penale ed in particolare da come viene impiegata la pena.
Recibido el 23 de octubre de 2014 y aceptado el 15 de febrero de 2015.
* Professore aggregato di diritto penale e diritto penitenziario (settore Ius-17) nella Università degli studi di Cassino.
Riferimenti
1 Sul punto v.: Pulitanò, Diritto penale, Torino, 2011, 12 s.
2 Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Roma-Bari, 2004, § 49 E I, 164.
3 "L'uomo che si comporterà con presunzione e non obbedirà al sacerdote che sta là per servire il Signore tuo Dio o al giudice, quell'uomo dovrà morire; così toglierai il male da Israele; tutto il popolo lo verrà a sapere, ne avrà timore e non agirà più con presunzione" (Deut. 17, 12-13).
4 Deut, 28, 1-14.
5 Deut. 28, 15-46.
6 Deut. 17, 1-13.
7 Deut., 30, 1-14.
8 Riferimenti alla misericordia divina si colgono peraltro anche nell'antico Testamento. Si consideri: Deut., 30, 1-14.
9 Numerosi sono i brani evangelici che richiamano alla mente il concetto di retribuzione. Senza la pretesa della completezza appare opportuno riportarne un certo numero al fine di asseverare quanto sostenuto nel testo. Particolarmente interessante il passo di Matteo (5,21), che pone in collegamento la legge antica e la legge nuova, in un'ottica retributiva: "Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna". Anche molti altri brani appaiono ispirati alla retribuzione. "Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi. In verità vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sodoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città" (Mt. 10, 14-15). "Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti" (Mt. 13, 41-42; Gv. 13, 41-42). "Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! E' inevitabile che avvengano gli scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo" (Mt. 18, 6-7; Mc. 9, 42; Lc., 17, 1-2). "Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare dalla condanna della Geenna?" (Mt. 23, 33). "E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti" (Mt. 25, 30). "In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non avrà perdono in eterno; sarà reo di colpa eterna" (Mc. 3, 28-29; Lc. 12, 10). "Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione, adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi" (Mc., 8, 38; Lc. 9, 25-26). "Che cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e sterminerà quei vignaioli e darà la vigna ad altri" (Mc. 12, 9). "Divorano le case delle vedove ed ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grave" (Mc., 12, 40). "Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, e voi cacciati fuori" (Lc., 13, 28). "Il Figlio dell'uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell'uomo dal quale è tradito!" (Lc. 22, 22). "Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio" (Gv., 13, 30). "E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello" (Gv., 18, 34-35).
10 L'ottica retributiva si coglie nei Vangeli non solo sul versante delle punizioni ma, ovviamente, anche su quello dei premi. Si considerino, ex multis, i seguenti passi. "Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli" (Mt . 10, 32-33). "Così sarà la fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti" (Mt. 13, 49-50; Gv. 14, 49-50). "Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo" (Mt. 25, 34). "Poi dirà a quelli posti alla sua sinistra: Via lontano da me maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo ed i suoi angeli" (Mt. 25, 41). "Ma io vi dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato" (Mt. 12, 36-37; Gv. 12, 36). "E chi avrà dato anche solo un bicchier d'acqua fresca ad uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità vi dico, non perderà la sua ricompensa"(Gv. 10, 42). "Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro" (Gv. 13, 43).
11 Alcuni passi evangelici sembrano richiamare la proporzione. "Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati; e con la misura con la quale misurate sarete misurati"(Mt. 7, 1; 2 Gv. 7, 1). La proporzione appare legata alla colpevolezza nel seguente passo di Luca: "Il servo che, conoscendo non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche" (Lc. 12, 47-48).
12 Kant, Die Metaphysik der Sitten, § 49 E1, in Kant-Studienausgabe der Wissenschaftlichen Buchgesellschaft, IV, 1956, 455.
13 Sul punto v.: Palazzo, Corso di diritto penale. Parte generale, Torino, 2013, 21 ss.
14 In Italia vengono ascritti all'orientamento neoretribuzionista, ognuno ovviamente con proprie peculiarità: Mathieu, Perché punire. Il collasso della giustizia penale, Milano, 1978; D'Agostino, Le buone ragioni della teoria retributiva della pena, in Iustitia, 1982, 236 ss., Id., Sanzione e pena nell'esperienza giuridica, Torino, 1987; Morselli, La prevenzione generale integratrice nella moderna prospettiva retribuzionistica, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, 48 ss.; Ronco, Il problema della pena. Alcuni profili relativi alla sviluppo della riflessione sullo sviluppo della pena, Torino, 1996. Critici nei confronti del neoretribuzionismo: Eusebi, La nuova retribuzione, sez. I, Riv. it. dir. proc. pen., 1983, 925; Küpper, Grenzen der normativierenden Strafrechtsdogmatik , Berlin, 1990, 152 ss..
15 Nei confronti di tale impostazione è stato osservato come la teoria neoretributiva finisca per risolversi in una versione della teoria generalpreventiva, intesa come volta alla socializzazione, della quale si dirà di qui a breve. In tal senso: Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna-Roma, 2010, 716.
16 Feurbach, Anti-Hobbes ovvero i limiti del potere supremo e il diritto coattivo dei cittadini contro il sovrano, traduzione italiana a cura di Cattaneo, Milano, 1972.
17 "L'uomo che si comporterà con presunzione e non obbedirà al sacerdote che sta là per servire il Signore tuo Dio o al giudice, quell'uomo dovrà morire; così toglierai il male da Israele; tutto il popolo lo verrà a sapere, ne avrà timore e non agirà più con presunzione" (Deut. 17, 12-13, già citato nella nota 3).
18 "Chi cerca di punire secondo ragione, non punisce a motivo del delitto trascorso - infatti non potrebbe certo ottenere che ciò che è stato fatto non sia avvenuto - ma in considerazione del futuro, affinché non commetta ingiustizia né quello stesso che viene punito né altri che veda costui punito" (Platone, Protagora, 324). Sul punto v.: Fiandaca-Musco, cit., 711;Pulitanò, cit., 17 s.
19 Sul punto v.: Palazzo, cit., 34 s. Distingue in maniera ancor più netta le due finalità, tanto da escludere che l'emenda abbia carattere specialpreventivo: Bettiol, Diritto penale. Parte generale, Padova, 1982, 754.
20 Roberti, De delictis et poenis, Vol. I - Pars I, De delictis in genere, Roma, 1930, 45.
21 In tal senso: Del Giudice, Nozioni di diritto canonico, Milano, 1962, 382 s.
22 Sul punto v.: Del Giudice, cit., 383.
23 In tal senso: Suchecki, Le sanzioni penali nella Chiesa, Parte I, I delitti e le sanzioni, penali in genere (cann. 1311-1363), Città del Vaticano, 1999, 95.
24 Codice di diritto canonico. Testo ufficiale e versione italiana, sotto il patrocinio della Pontificia Università Lateranense e della Pontificia Università Salesiana, Roma, 1984, 1144.
25 Suchecki, cit., 68.
26 Suchecki, cit., 105.
27 Carrara, Programma del corso di diritto criminale, Parte generale, vol. II, Lucca, 1890, § 615, p. 88.
28 Carrara, cit., § 619, p. 89.
29 Gli aderenti alla scuola classica del diritto penale italiano avevano aderito sostanzialmente ad una visione retributiva della pena, partendo dal presupposto dell'esistenza del libero arbitrio. Fra i sostenitori più importanti di tale scuola vanno annoverati: Carmignani, Elementi di diritto criminale, trad. it., Malta, 1847; Pellegrino Rossi, Trattato di diritto penale, trad. it., Torino, 1859; Lucchini, I semplicisti (antropologi, psicologi e sociologi) del diritto penale, Torino, 1886; Pessina, Elementi di diritto penale, Napoli, 1883; Carrara, Programma,cit.
30 I sostenitori della scuola positiva criticavano aspramente l'idea retributiva della pena negando l'esistenza del libero arbitrio. Al posto della pena proponevano un sistema di misure volte a neutralizzare la pericolosità del delinquente, in un'ottica quindi specialpreventiva. A tale scuola appartennero, sia pur con approcci diversi: Garofalo, Criminologia, Torino, 1891; Lombroso, L'uomo delinquente, Torino, 1897; Ferri, Sociologia criminale, Torino, 1925.
31 Sul punto v.; Fiandaca-Musco, cit., 697.
32 Relazione a S.M. il Re per l'approvazione del testo definitivo del codice penale, in Codice penale e codice di procedura penale, Torino, 1931.
33 Sul punto v.; Fiandaca-Musco, cit., 698; Cadoppi-Veneziani, Elementi di diritto penale. Parte generale, Padova, 2012, 477.
34 In tal senso: C.F. Grosso, Responsabilità penale, in Noviss. dig. it., XV, Torino, 1976, 719;Bettiol, cit., 725 ss.; Ronco, cit., 1996.
35 Sul punto v.: F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, Padova, 1979, 676.
36 Si considerino, ex multis: Bricola, Teoria generale del reato, in Noviss. dig. it., XIX, Torino, 1973, 7 ss.; F. Mantovani, Pene e misure alternative, in Riv. it. dir. proc. pen., 1977, 77 ss.; Dolcini, La commisurazione della pena, Padova, 1979; Cavalla, La pena come problema, Milano, 1980; M. Romano-Stella (a cura di), Teoria e prassi della prevenzione generale dei reati, Bologna, 1980; Padovani, L'utopia punitiva, Padova, 1981; Nuvolone, Pena, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, 787 ss.; Militello, Prevenzione generale e commisurazione della pena, Milano, 1982; Monaco, Prospettive dell'idea dello scopo nella teoria della pena, Napoli, 1984; Dolcini - Paliero, Il carcere ha alternative?, Milano, 1989; Eusebi, La pena in crisi, Brescia, 1989; Id. (a cura di), La funzione della pena: il commiato da Kant e da Hegel; Milano, 1989; Moccia, Il diritto penale tra essere e valore. Funzione della pena e sistematica teleologica, Napoli, 1992; Palazzo, La recente legislazione penale, Padova, 1992; Paliero, Metodologie de lege ferenda: per una riforma non improbabile del sistema sanzionatorio; in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 510 ss.; Mannozzi, Razionalità e "giustizia" nella commisurazione della pena: il just desert model e la riforma del sentencing nordamericano, Padova, 1996; Pavarini, Lo scambio penitenziario. Manifesto e latente nella flessibilità della pena in fase esecutiva, Bologna, 1996; Id. (a cura di), Silete poenologi in munere alieno! Teoria della pena e scienza penalistica oggi,Bologna, 2006; Ronco, cit.; Castaldo, La rieducazione tra realtà penitenziaria e misure alternative alla detenzione, Napoli, 2001; De Vero, Prevenzione generale e condanna dell'innocente, in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, 990 ss.; Fiandaca, Scopi della pena tra commisurazione edittale e commisurazione giudiziale, A.A.V.V., Diritto penale e giurisprudenza costituzionale, a cura di G. Vassalli, Napoli, 2006, 131 ss.; Nappi, La crisi del sistema delle sanzioni penali, Napoli, 2010.
37 Analizza bene il fenomeno: Padovani, cit..
38 Aderiscono a posizioni polifunzionali o pluridimensionali, dir si voglia: Vassalli, Funzioni ed insufficienze della pena, Riv. it. dir. proc. pen., 1961, 296 ss.; Bricola, cit., 82; Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 1975, 564 ss.; F. Mantovani, Diritto penale cit., 676 ss.; Pagliaro, Principi di diritto penale. Parte generale, Milano, 1980, 660 ss.; Pulitanò, cit., 29 ss.; Palazzo, Corso,cit., 36 ss. La polifunzionalità viene da vari autori colta nelle diverse fasi della dinamica della pena: De Simone, in Canestrari-Cornacchia-De Simone, Manuale di diritto penale. Parte generale, Bologna, 2007, 75 ss.; Marinucci-Dolcini, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2012, 9 ss.; Padovani, Diritto penale, Milano, 2012, 319 s.; Pelissero, in Grosso-Pelissero-Petrini-Pisa, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2013, 594 ss.
39 Su tali orientamenti v.: Palazzo, Corso,cit., 40 ss.
40 Critici nei confronti della teoria polifunzionale della pena: Fiandaca, Art. 27, III e IV comma, in Commentario alla Costituzione, fondato da Branca e continuato da Pizzorusso, rapporti etico-sociali, Bologna-Roma, 1991, 319 ss.; Manna, Corso di diritto penale. Parte generale, II, Padova, 2008, 164.
41 In tal senso: Palazzo, Corso cit., 32.
42 In tal senso: Roxin, Considerazioni di politica criminale sul principio di colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen. it., 1980, Bettiol, cit., 725; Pulitanò, cit., 16.Sia inoltre consentito il rinvio a: M.L. Ferrante, L'eclisse dell'idea retributiva della pena come concausa della crisi del diritto penale, in Iustitia, 1998, 469.
43 Si considerino, a mero titolo d'esempio: Stella, Laicità dello Stato: fede e diritto penale, in A.A.V.V., Laicità. problemi e prospettive. Atti del XLVII corso di aggiornamento culturale dell'Università cattolica, Milano, 1977, 316ss.; Moccia, cit., 30. Per quanto riguarda le critiche al neoretribuzionismo si consideri: Eusebi, La nuova retribuzione cit.
44 In tal senso, ma in una prospettiva eticizzante: Bettiol, cit., 723 ss.
45 In tal senso: Bettiol, cit., 756.
46 Si vedano gli autori citati nella seconda parte della nota 38.
47 Sul punto si consideri il can. 1343 dell'attuale Codex Iuris Canonici: "Si lex vel praeceptum iudici det potestatem applicandi vel non applicandi poenam, iudex potest etiam, pro sua conscientia et prudentia, poenam temperare vel in eius locum poenitentiam imponere".
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