Revista europea de historia de las ideas políticas y de las instituciones públicas
ISSN versión electrónica: 2174-0135
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Depósito Legal: MA 2135-2014
Presidente del C.R.: Antonio Ortega Carrillo de Albornoz
Director: Manuel J. Peláez
Editor: Juan Carlos Martínez Coll
ASPETTI PROBLEMATICI DEL DIRITTO COMMERCIALE ROMANO
Valeria CARRO*
Para citar este artículo puede utilizarse el siguiente formato:
Valeria Carro (2014): ―Aspetti problematici del diritto commerciale romano‖, en Revista europea de historia de las ideas políticas y de las instituciones públicas, nº 8 (diciembre 2014).
Riasunto: Un tema discusso nella dottrina romanistica è quello del riconoscimento dell’esistenza di un diritto commerciale nell’esperienza giuridica romana. E proprio nel momento in cui si celebra la memoria di Fernand de Visscher mi è apparso particolarmente significativo ricordare che a tale dibattito ha contribuito in misura rilevante proprio la Société Internationale Fernand De Visscher pour l’Histoire des Droits de l’Antiquité e la Revue Internationale des Droits de l’Antiquité. In particolare, il dogma della specialità del diritto commerciale e della sua genesi nel ius mercatorum dei secoli XII e XIII è stato oggetto di radicale revisione da parte degli orientamenti emersi sia nella 55esima sessione del Congresso della Società internazionale per la storia dei diritti dell’antichità svoltasi a Rotterdam nel settembre del 2001, sia nel 48° volume della Rivista internazionale dei diritti dell’Antichità. ll diritto commerciale va inteso come una categoria storica e non ontologica. Dunque negare al diritto romano dei traffici mercantili l’etichetta di ‘diritto commerciale romano’ significa ‒ affermava Antonio Guarino ‒ basarsi «su preconcetti formalistici coniugati con una certa disinformazione storiografica romanistica». Per questo storicamente il diritto commerciale ha comportato ed avviato il progressivo allargamento dello spazio dell’autonomia privata e della libertà contrattuale.
Parole chiave: Diritto commerciale, Diritto romano, Commercio, Lex mercatoria.
Abstract: It is very important to recognize the existence of a commercial law in the Roman legal experience. And just when we celebrate the memory of Fernand De Visscher it is particularly significant to remember that to this debate has contributed the Société Internationale Fernand de Visscher pour l'Histoire des Droits de l'Antiquité and the Revue Internationale des Droits de l’Antiquité. Particulary, the dogma of the specialties of commercial law and its genesis in ius mercatorum of the twelfth and thirteenth centuries, has undergone a radical revision in the 55th session of the Congress of the Société Internationale Fernand de Visscher pour l'Histoire des Droits de l'Antiquité which took place in Rotterdam in September 2001 and in the 48th volume of the Revue Internationale des Droits de l’Antiquité. The commercial law is a historical category and not ontological category. Therefore, the conviction to deny the existence of roman commercial law is based ‒ said Antonio Guarino ‒ "on formalistic preconceptions" and "some misinformation historiographical romanistic." On this reason, historically the commercial law led and started the gradual enlargement of the space of private autonomy and freedom of contract.
Key words: Commercial Law, Roman Law, Trade, Lex mercatoria.
In occasione della commemorazione di Fernand de Visscher mi sembra significativo ricordare il rilevante contribuito dato dalla Société Internationale Fernand De Visscher pour l’Histoire des Droits de l’Antiquité e dalla Revue Internationale des Droits de l’Antiquité allo studio di un tema a me particolarmente caro e molto discusso nella dottrina romanistica1 quale è quello del riconoscimento dell’esistenza di un diritto commerciale nell’esperienza giuridica romana2.
In particolare, il dogma della specialità del diritto commerciale3 e della sua genesi nel ius mercatorum dei secoli XII e XIII, consolidatosi nella dottrina commercialistica e nella dottrina storico-giuridica, è stato oggetto di radicale revisione da parte degli orientamenti emersi sia nella 55esima sessione del Congresso della Società internazionale per la storia dei diritti dell’antichità svoltasi a Rotterdam nel settembre del 2001 ed espressamente incentrata sull’analisi storico-comparatistica di aspetti e problemi del diritto commerciale nel mondo antico, sia nel 48esimo volume della Rivista internazionale dei diritti dell’Antichità che accoglie una serie di contributi su problemi tecnico-giuridici dell’esperienza commerciale dell’antichità ed in particolare della civiltà romana.
Nel volume della rivista pubblicato nel 2001 il diritto commerciale romano viene analizzato nei suoi aspetti più problematici (András Földi) e specifici in particolare relativi al fenomeno contrattuale (Ildikό Babják, Carmen Lázaro Guillamón), alle actiones adiecticiae qualitatis (Luiz Fabiano Correa), alla disciplina del traffico marittimo (Rosalia Rodríguez López, Philip J. Thomas, Gema Tomás, Jose Luis Zamora Manzano), alla diffusione dei traffici internazionali e ad alcuni provvedimenti legislativi (Nadja El Beheiri, Justo García Sánchez, Olga Marlasca). Ma anche nei suoi risvolti sociali e politici essendo concepito sia quale fattore di civilizzazione e di progresso della comunità (Juan de Churruca), sia quale strumento di deritualizzazione del diritto (Dominique Gaurier). Particolare attenzione, poi, viene data al ruolo della giurisprudenza classica romana e alla costruzione di un diritto degli affari fondato sulla fides (Maren Guimarães Taborda).
Parimenti dal congresso della SIHDA emerge la vitalità e la complessità dell’esperienza giuridica romana in campo commerciale (Theo Mayer-Maly) e il monito, di conseguenza, a mirare ad una visione d’insieme di tale materia4.
Ciò in quanto le fonti non consentono una visione completa del commercio internazionale (Karl Heinz Ziegler), data la molteplicità di norme ‘sparse’ concernenti il trasporto commerciale nei trattati dell’antichità. L’ambito spaziale e temporale degli interventi appare molto vasto, estendendosi, tra l’altro, anche agli aspetti commerciali nella Grecia antica ed in particolare al tema della sicurezza della navigazione (Adam-Magnissali). Ne consegue, così, la volontà di delineare i confini di un diritto commerciale in particolare a Roma antica, un diritto che tradizionalmente è sempre stato, però, configurato su un sistema obiettivo basato sull’atto di commercio e non sulla persona del commerciante così da rendere complessa l’individuazione di un criterio unico per riconoscere la natura commerciale di un atto normativo in diritto romano.
Di qui l’importanza di un approccio alternativo che consideri come appartenente al diritto commerciale l’insieme delle regole che si applicano specificamente a certe categorie professionali (András Földi).
Sulla base di tali considerazioni è emersa l’importanza dello studio dei profili economico-giuridici afferenti ai rapporti commerciali, ed in particolare delle negotiationes romane preordinate alla ricerca del profitto e delle attività funzionalmente connesse alla tipologia dell’organizzazione imprenditoriale in Roma antica.
Rilevante è stato indicato il binomio negotiatio unius-negotiatio plurium, ove le negotiationes vanno intese come attività imprenditoriali correlate alla trasformazione della famiglia patriarcale in famiglia mercantile, con riguardo a quattro tipi di società commerciali di rilevante interesse pubblico: società bancarie, appaltatrici, armatoriali e venaliciarie.
Lo stesso sviluppo del diritto romano, inoltre, è stato associato proprio al diffondersi dei traffici commerciali: con la conquista del bacino del Mediterraneo, l'economia fu incrementata da una serie di fattori quali la diffusione della pax romana, l'unicità dell’amministrazione politica, il sistema monetario, la messa in sicurezza delle rotte marittime ed il miglioramento continuo della rete stradale. E soprattutto il libero scambio avrebbe dato una svolta all’evoluzione del diritto romano (J. J. Rena van den Bergh).
Gli orientamenti emersi e qui brevemente ricostruiti, hanno contribuito, dunque, in modo significativo a sostenere la tesi del riconoscimento di un diritto commerciale già nell’antichità, alimentando così tra l’altro l’ottica straordinariamente interessante di una visione comparatistica del diritto5.
Essi, infatti, si inseriscono in quegli studi della dottrina romanistica che ha inteso ricostruire l’origine del diritto commerciale già nell’esperienza giuridica romana. Tale orientamento ha da sempre sottolineato l’importanza del significato tecnico dell’espressione commercium inteso quale traffico di merci economicamente rilevanti6. I negozi solenni che si potevano porre in essere, potevano intercorrere inter vivos tra cittadini romani e tra romani e stranieri purchè questi ultimi fossero legittimati, per trattato o per concessione unilaterale di Roma, al compimento di atti realizzati per aes et libram: secondo la definizione di Ulpiano, commercium era, quindi, il diritto reciproco di comprare e di vendere:
Tit. Ulp. 19.4-5. Mancipatio locum habet inter cives Romanos et Latinos coloniarios Latinosque Iunianos eosque peregrinos, quibus commercium datum est. Commercium est emendi vendendique invicem ius;
Isidoro di Siviglia Etymologiae 5.25.35. Commercium dictum a mercibus, quo nomine res venales appellamus, unde mercatus dicitur coetus multorum hominum, qui res vendere vel emere solent
Ebbero, poi, nel diritto romano valore i concetti di ‘banca’7 (mensa), di ‘impresa’ (la negotiatio romana)8 e di ‘azienda’ (taberna instructa)9.
L’organizzazione imprenditoriale romana, infatti, traeva la sua origine nella prassi degli operatori economici e nella emanazione da parte del pretore degli edicta de exercitoria actione, de institoria actione, de peculio et de in rem verso e de tributoria actione, i quali si innestano sul regime arcaico della familia, tutelando i contraenti con le imprese.
Sulla base delle nostre fonti, in sintesi estrema, nell’arco di tempo compreso tra III sec. a.C. e III sec. d.C., il diritto commerciale romano, quindi, appare articolato in: scambio e circolazione dei beni; navigazione marittima e terrestre, finalizzata al trasporto di persone e cose; produzione artigianale e industriale all’interno di opifici; attività speculative sugli immobili urbani (ma non prima del I sec. a.C.) e poi, nel campo dei servizi, di notevole rilievo pratico, risultava essere l’attività esplicata dai gestori di stalle e locande (stabularii), da albergatori (caupones), da lavandai (fullones), da rammendatori (sarcinatores), da gestori di pompe funebri (libitinarii) 10.
A Roma, inoltre, si consentiva all’operatore economico di tenere le fila di un numero illimitato di negotiationes le più diverse fra di loro, nei luoghi più lontani del mondo romano; inoltre grazie al peculium ed alla sua configurazione come patrimonio separato dal dominium si contemplava la possibilità per l’imprenditore individuale e collettivo di limitare la responsabilità e predeterminare il rischio.
Attraverso l’articolazione del peculio, poi, si consentiva la realizzazione di un gruppo di negotiationes dipendenti dal peculio dello schiavo ordinario.
In particolare, infatti, la soluzione romana dell’organizzazione imprenditoriale era imperniata sullo strumento schiavo differentemente dalla soluzione moderna imperniata sullo strumento persona giuridica (società).
Separatamente va valutata l’organizzazione della banca romana definita tecnicamente mensa e qualificata negotiatio nel senso di impresa, cioè attività finalizzata all’investimento. Le mensae erano site nelle tabernae argentariae ove operavano l’argentarius, i faeneratores e i publicani. Dal II sec. d. C. le fonti fanno riferimento ad una giurisdizione speciale del praefectus urbi.
Nell’età degli Antonini, nella lex Rhodia individuiamo la prima trattazione del diritto commerciale marittimo e al tempo dei Severi, e in particolare nei libri De cognitionibus di Callistrato, risale la prima analisi sistematica dell’attività commerciale a livello professionale.
A Roma, comunque, il commercio, parimenti all’artigianato, fu al servizio del latifondo connesso alla proprietà fondiaria e non coinvolse una classe capace di esercitare un ruolo politico autonomo.
A Roma, comunque, il commercio, parimenti all’artigianato, fu al servizio del latifondo connesso alla proprietà fondiaria e non coinvolse una classe capace di esercitare un ruolo politico autonomo.
I mercanti del tempo non avevano, infatti, potere politico e al diritto mancava la dinamica del profitto, mirando invece alla tutela della proprietà.
Tuttavia, malgrado il quadro così articolato, che emerge dagli studi della dottrina in tema di diritto commerciale, si è inizialmente registrato un atteggiamento di rifiuto nei confronti dell’esperienza giuridica romana, come fonte originaria del diritto commerciale, fenomeno questo, riconducibile alla circostanza che per molto tempo si è ritenuto di collocare le origini del diritto commerciale fra XII e XIII sec. d.C. quale espressione esclusiva del ceto mercantile e artigiano 11. Tale ‘nascita’ della disciplina è stata rappresentata come un momento di cesura nettissima, rispetto al diritto romano, al punto tale che Levin Goldschmidt affrermò 12 che il diritto commerciale universale moderno traeva le sue origini dal diritto romano, ma che il diritto commerciale in senso proprio derivava dal Medioevo e dalle codificazioni moderne.
L’età comunale introdusse un sistema basato sulla realtà mercantile delle curiae mercatorum e sugli statuti delle corporazioni.
Di qui il diritto civile e il diritto commerciale sarebbero stati due realtà autonome.
Solo dopo il Medioevo i mercanti avrebbero perso il potere politico con l’affermarsi delle monarchie assolute che però potenziarono il diffondersi del commercio.
Il declino dell’economia curtense, quindi, avrebbe aperto i varchi alla ripresa dei traffici: prese forma, così, la classe dei mercanti cui l’interna crisi del sistema feudale dischiudeva ambiti sempre più vasti di iniziativa economica e azione politica.
Nasceva così un nuovo diritto privato congeniale agli interessi della nuova classe, diverso da ogni altro diritto che avesse in passato disciplinato i traffici ed in particolare dallo stesso diritto romano che proprio in quell’epoca aveva trovato la sua rinascenza. È il ius mercatorum ovvero il diritto commerciale.
Dal XIII secolo il diritto commerciale ridivenne diritto dello Stato.
Carlo Fadda sostenne: «I Romani ebbero un concetto sostanzialmente esatto della specialità del diritto commerciale, considerando le sue norme come discipline speciali di particolari rapporti del diritto privato generale. La particolarità di questi rapporti è nell’indole della speculazione commerciale cui essi si riferiscono, tenuta ben distinta dal traffico comune»... «Quel che manca al diritto romano, come del resto a molte legislazioni moderne, è la riunione di tutte queste discipline speciali in un corpo unico di leggi, con principi e norme peculiari».
Fadda era condizionato dal codice di commercio italiano del 1882. Ma la concezione del diritto commerciale stava modificandosi. Tramontava l’origine cetuale del diritto commerciale medioevale. Si abbandonò così la nozione dell’atto di commercio e si sottolineò l’elemento dell’attività dell’impresa mirata ad una funzione sociale.
I gius-commercialisti ritagliarono il diritto commerciale all’interno del codice, specificando così la trattazione del diritto dell’impresa e delle società, i titoli di credito e contratti c.d. commerciali. La mancata autonomia formale del diritto commerciale non ne condizionò l’autonomia scientifica e didattica in un periodo in cui non era ancora matura la concezione della tutela del consumatore13.
Pertanto a metà del 1900 la disciplina dell’attività commerciale si ricondusse a due modelli: «il primo modello collegava la disciplina dei rapporti commerciali con la configurazione di un autonomo corpo normativo, per esempio la lex mercatoria 14 o i codici ottocenteschi di commercio 15, dunque di un corpo normativo più o meno contrapposto al sistema delle norme del diritto civile. Questo è il modello dell’‘autonomia formale’. Il secondo modello (modello dell’‘autonomia sostanziale’) riportava, invece, la disciplina dell’attività commerciale ad un sistema di norme che si innesta nel sistema generale del diritto civile, ma che comunque assume una sua autonomia sostanziale in relazione alla specificità intrinseca del fenomeno economico-giuridico regolato.
Non è facile dire se questo secondo modello (‘autonomia sostanziale’) rispecchi ancora il diritto commerciale odierno, dopo i mutamenti imposti dalla normativa comunitaria, dopo l’avvento della nuova lex mercatoria e, soprattutto, dopo l’entrata in vigore del codice del consumo. Ma con buon fondamento al modello di ‘autonomia sostanziale’ si riconducono i precedenti di età romana» 16.
Certo è difficile formulare un criterio unificante delle diverse norme commercialistiche che vada al di là dell’elemento formale della qualifica di commerciante.
Più agevole è identificare caratteristiche tipiche delle norme commercialistiche. Tali caratteristiche sono dettate dalla natura stessa dei traffici commerciali e si lasciano ricondurre alle esigenze di flessibilità, semplicità, esperienza pratica e certezza del diritto per essi tipiche17.
Per questo storicamente il diritto commerciale ha comportato ed avviato il progressivo allargamento dello spazio dell’autonomia privata e della libertà contrattuale.
Le norme commercialistiche, infatti, espletano storicamente la funzione di motore dello sviluppo giuridico e della unificazione giuridica18. Un esempio è certamente quello della tutela dell’affidamento e dei traffici, materia tipica del diritto commerciale di cui negli ultimi annimi sono occupata nell’ottica sia della formazione unilaterale del rapporto obbligatorio sia nei termini del fenomeno fiduciario19.
Ma a questo punto significativo appare il pensiero di Giuseppe Ferri secondo il quale l’espressione diritto commerciale assumerebbe contenuto e significato diverso a seconda del periodo storico al quale la formula viene riferita.
L’essenza della commercialità va così colta in una prospettiva diacronica: il diritto commerciale non può che essere l’insieme delle speciali regole del commercio che nelle diverse epoche storiche la classe mercantile ha preteso dallo stato; regole spesso tradotte poi nel diritto civile.
Nel disegno di un diritto commerciale uniforme il particolarismo storico dello stesso riemerge trasformandosi, così, in autonomia scientifica: ritorna l’idea di un diritto commerciale depoliticizzato, l’uniformità ultra-nazionale del quale si possa realizzare indipendentemente dalla unità politica ed associare a null’altro se non alla unità di mercato.
Si tende cosi a superare i confini politici degli stati e a ridurre il territorio ad economica unità.
L’economia moderna sfugge, pertanto, alla disciplina della legge in quanto globalizzata e sfugge al controllo delle leggi nazionali richiedendo mezzi più flessibili rispetto alla legge.
Con la recezione giurisprudenziale dei contratti atipici internazionalmente uniformi, si attua così una forma giurisprudenziale di uniformità internazionale del diritto privato che consacra l’uniformità internazionale dei modelli contrattuali.
La nuova lex mercatoria, così, va intesa oggi quale diritto creato dal ceto imprenditoriale senza la mediazione del potere legislativo degli Stati che disciplina i rapporti commerciali che si instaurano nell’unità economica dei mercati.
Il diritto naturale è il solo diritto che aspirando ad essere il diritto dell’umanità oltre la frantumazione dei diritti nazionali, si ritrova nei principi generali del diritto civile universalmente riconosciuto cui si dà nome di lex mercatoria.
Del resto, secondo Galgano, anche alla civiltà romana ripugnava l’idea di un ramo speciale del diritto regolante il commercio o anche solo l’attività industriale in quanto tale. Ciò per quell’esigenza di uguaglianza giuridica che è l’antagonista storica di ogni diritto speciale.
Fondamentale appare, dunque, l’esistenza di rapporti commerciali la regolamentazione dei quali può essere una regolamentazione non differenziata da quella di qualsiasi altro rapporto anche non commerciale; non differenziata neppure in quelle dimensioni dell’esperienza giuridica romana cui avevano contribuito il ius honorarium con l’elasticità e il ius gentium con l’universalità, a soddisfare le esigenze di un attivo e vasto mercato.
Dunque il diritto commerciale appare una categoria storica e non ontologica: negare al diritto romano dei traffici mercantili la definizione di diritto commerciale romano è basata come affermava Antonio Guarino «su preconcetti formalistici coniugati con una certa disinformazione storiografica romanistica».
Recibido el 19 de octubre de 2014. Aceptado el 26 de diciembre de 2014.
Corregido por la autora el 31 de marzo de 2015.
* Docente di Diritto romano commerciale. Facoltà di Giurisprudenza. Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Novembre 2014 abilitata al Concorso ASN tornata 2013 in qualità di Professore associato.
NOTAS
1 Sul tema, in generale, tra gli altri: Gabriello Carnazza, Il diritto commerciale dei Romani, Catania, 1891, p. 40; Tenney Frank, An Economic History of Rome, Baltimore, 1927, p. 286; Paul Huvelin, Études d’histoire du droit commercial romain (a cura di H. Lévy-Bruhl), Parigi, 1929, p. 81 ss.; Max Kaser, Vom Begriff des commercium, in Studi in onore di Vincenzo Arangio-Ruiz, II, Napoli, 1953, p. 131 ss.; Moses I. Finley, The Ancient Economy, London, 1973, (traduzione italiana I. Rambelli) L’economia degli antichi e dei moderni, Bari, 1974, p. 84; Francesco De Martino, Diritto e società nell’antica Roma, I, Roma, 1979; Michael Rostovzev, Storia economica e sociale dell’impero romano (traduzione italiana M. Liberanome, G. Sinna), Firenze, 1980; Moses I. Finley, Ancient Slavery and Modern Ideology, New York, 1980, (traduzione italiana E. Lo Cascio) Schiavitù antica ed ideologia moderna, Bari, 1981, p. 103 ss.; Keith Hopkins, Conquistatori e schiavi. Sociologia dell’Impero romano (traduzione italiana M. Menghi), Torino, 1984; Mario Bretone, Storia del diritto romano, Roma-Bari, 1987, p. 127; Carlo Fadda, Istituti commerciali del diritto romano. Introduzione con una nota di lettura di Lucio Bove, in Antiqua, XLVII, Napoli, 1987; Andrea Carandini, Schiavi in Italia. Gli strumenti pensanti dei Romani fra tarda Repubblica e Medio Impero, Roma, 1988, 12; Id., Quando la dimora dello strumento è l’uomo. Prefazione a Jerzy Colendo, L’agricoltura nell’Italia romana, Roma, 1980; Aldo Schiavone, La storia spezzata. Roma antica e Occidente moderno, Bari, 1996; Mario Talamanca, Società in generale (diritto romano), in Enciclopedia del diritto, XLII, Milano, 1990, p. 827 ss.; Aldo Petrucci, Mensam exercere. Studi sull’impresa finanziaria romana (II sec. a. C. – metà del III sec. d. C.), Napoli, 1991.
2 Andrea Di Porto, Il diritto commerciale romano. Una ‘zona d’ombra’ nella storiografia romanistica e nelle riflessioni storico-comparative dei commercialisti, in Nozione, formazione e interpretazione del diritto dall’età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al prof. F. Gallo, III, Napoli, 1997, p. 413 ss.; Maurizio Bianchini, Attività commerciali fra privato e pubblico in età imperiale, in Fides, fidelitas e ius. Studii in onore di Luigi Labruna, I, Napoli, 2007, p. 423 ss.; Tiziana J. Chiusi, Diritto commerciale romano? Alcune osservazioni critiche, in Fides, fidelitas e ius. Studii in onore di Luigi Labruna, II, Napoli, 2007, p. 1025 ss.; Maurizio D’Orta, Dalla morfogenesi alla struttura del diritto commerciale: imprenditorialità e diritto. L’esperienza di Roma antica, in Fides, fidelitas e ius. Studii in onore di Luigi Labruna, III, Napoli, 2007, 1593 ss.; Pietro Cerami, Andrea Di Porto, Aldo Petrucci, Diritto commerciale romano. Profilo storico, Torino, 2010.
3 Maurizio Bianchini, Diritto commerciale nel diritto romano, in Digesto delle discipline privatistiche – Sezione commerciale, IV, Torino, 1989, 321 ss.; Filippo Gallo, ‘Negotiatio’ e mutamenti giuridici nel mondo romano, in Aa.Vv., Imprenditorialità e diritto nell’esperienza storica. Atti del Convegno di Erice (a cura di M. Marrone), Palermo, 1992, 138 ss. [= Opuscula selecta, Padova, 1999, 823 ss.]; Luigi Labruna, Il diritto mercantile dei romani e l’espansionismo, in Aa.Vv. Le strade del potere. Maiestas populi romani, imperium, coercitio, commercium (a cura di A. Corbino), Catania, 1994, p. 155.
4 Cfr. Pietro Cerami, Andrea Di Porto, Aldo Petrucci, Diritto commerciale romano, citato, 1 ss.
5 Filippo Gallo, ‘Negotiatio’ e mutamenti giuridici nel mondo romano, in Aa.Vv., Imprenditorialità cit. 138 ss. [= Opuscula selecta, Padova, 1999, 823 ss.]; Feliciano Serrao, Diritto romano e diritto moderno. Comparazione diacronicaproblema della “continuità”?, in Studi Sassaresi,5, 1981, 519 s., ora in Impresa e responsabilità a Roma nell’età commerciale, Pisa, 1989. Sul ruolo e sui limiti della comparazione diacronica: Pietro Cerami, Impresa e societas nei primi due secoli dell’impero, in AUPA, 52, 2007-2008, 85 ss.; Emanuele Stolfi, La soggettività commerciale dello schiavo nel mondo antico: soluzioni greche e romane, in Teoria e storia del diritto privato, in Rivista internazionale on line, 2, 2009, 4 ss.
6 E. Forcellini, voce Commercium, in Lexicon totius Latinitatis, Patavii, 1965, 515; voce Commercium, in Thesaurus linguae Latinae, Stuttgart/Leipzig, 1982, 2, 1871 ss.
7 Aldo Petrucci, Profili giuridici delle attività e dell’organizzazione delle banche romane, Torino 2002.
8 Sul tema della problematica del processo formativo e della tipologia della organizzazione imprenditoriale romana: Vincenzo Panuccio, voce Impresa (diritto privato), in Enciclopedia del diritto, XX, Milano, 1970, p. 562 ss.; Andrea Di Porto, Impresa collettiva e schiavo manager (II sec. a.C. – II sec. d.C.), Milano, 1984; Feliciano Serrao, Impresa e responsabilità a Roma nell’età commerciale, Pisa, 1989; Aldo Petrucci, ‘Mensam exercere’. Studi sull’impresa finanziaria romana (II sec. a. C. – metà del III sec. d. C.), Napoli, 1991; Id., Profili giuridici delle attività e dell’organizzazione delle banche romane, Torino, 2002; Aa.Vv., Imprenditorialità e diritto nell’esperienza storica. Atti del Convegno di Erice (a cura di M. Marrone), Palermo, 1992.
9 Per quanto riguarda la taberna instructa notevole è l’analogia con il moderno concetto di azienda e l’assonanza con l’art. 2555 cod. civ.
10 Laura Solidoro, Annotazioni sullo studio storico del diritto commerciale, in Teoria e Storia del Diritto Privato 2(2009).
11 Vito Piergiovanni, Diritto commerciale nel diritto medievale e moderno, in Digesto delle Discipline Privatistiche, IV, Torino, 1989, p. 333.
12 Levin Goldschmidt, Universalgeschichte des Handelsrecht, I, Stuttgart, 1891, (traduzione italiana V. Pouchain, A. Scialoja), Torino, 1913; Fritz Moritz Heichelheim, Storia economica del mondo antico (traduzione italiana S. Sciacca), Bari, 1962. Più di recente cfr. sulle problematiche connesse alla ricostruzione della storia di un diritto commerciale: Francesco Galgano, Storia del diritto commerciale, Bologna, 1976, p. 40; Id., Diritto commerciale, in Digesto IV, Disc. civ., Sez. comm., Torino, 1989, 362; Rodolfo Sacco, Diritti dell’Europa continentale e sistemi derivati (Civil Law), in Enciclopedia giuridica, IX, Roma, 1989; Francesco Galgano, Lex mercatoria. Storia del diritto commerciale, Bologna, 2001.
13 Paolo Grossi, L’Europa del diritto, Roma-Bari, 2007; Aldo Petrucci, Per una storia della protezione dei contraenti con gli imprenditori, I, Torino, 2007.
14 La storia della lex mercatoria è la storia della regolazione normativa dei rapporti commerciali dei mercatores che creano diritto attraverso gli statuti delle corporazioni mercantili, la consuetudine mercantile e la giurisprudenza della curia dei mercanti. In essa le regole del commercio erano sottratte alla ‘compromissoria’ mediazione della società politica, malgrado la forza politica degli stessi mercanti quale classe dirigente.
15 Cesare Vivante, L’autonomia del diritto commerciale e i progetti di riforma, in Rivista di Diritto Commerciale, I, 1925 p. 572 ss.; Paolo Greco, Aspetti e tendenze odierne del diritto commerciale, in Rivista di Diritto Commerciale, 1934, I, 337; Giorgio Cian, Diritto civile e diritto commerciale oltre il sistema di codici, in Rivista di Diritto Civile, I, 1974, p. 532; Giovanni Tarello, Le ideologie della codificazione nel secolo XVIII, Genova, 1973.
16 Laura Solidoro, Annotazioni, cit.
17 Karsten Schmidt, Handelsrecht, München, 1999; Claus-Wilhelm Canaris, Handelsrecht, München, 2006.
18 In Italia passando dal sistema oggettivo dell’atto di commercio, di origine francese, del codice di commercio del 1882, al sistema basato sulla figura dell’imprenditore, si sono ripresi elementi di soggettività tradizionalmente legati alla figura del commerciante, tenendo conto però della funzione fondamentale che l’elemento organizzativo assume nella economia moderna e quindi generalizzando l’ambito di applicazione delle relative norme. Tale è la costruzione dogmatica che sta dietro l’innovazione legislativa del 1942. Cfr. Giuseppe Ferri, Manuale di diritto commerciale, Torino 1993; Tullio Ascarelli, Corso di diritto commerciale. Introduzione e teoria dell’impresa, Milano, 1962, 3ª ed.; Giuseppe Ferri, voce Diritto commerciale, in Nuovissimo Digesto Italiano, XII, Milano, 1964, p. 921 ss.
19 Cfr. Valeria Carro, La promessa unilaterale, Napoli, 2012; Id., … ut inter bonos bene agire oportet et sine fraudatione: una riflessione sul fenomeno fiduciario nel mondo romano e moderno,in Riflessioni sulla negozialità. Profili storico-comparativi (a cura di A. Palma), Napoli, 2013.
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