Revista crítica de Derecho Canónico Pluriconfesional / Rivista critica di diritto canonico molticonfessionale


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Depósito Legal: MA 2137-2014



Pio XI e la monopolizzazione statuale dell’insegnamento: L’enciclica "Acerbo Nimis" e l’Istituzione delle "Scholae Religionis"

Alessandro BUCCI*


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Alessandro Bucci (2015): “Pio XI e la monopolizzazione statuale dell’insegnamento: L’enciclica Acerbo Nimis e l’Istituzione delle Scholae Religionis”, en Revista crítica de Derecho Canónico Pluriconfesional, n. 2 (febrero de 2015), pp. 29-37

Abstract: This research is about the papal reaction of Pius X on the elimination of the teaching of religion in schools by the Italian State in the late nineteenth century.

Keywords: Anticlericalism, Education, Encyclical “Acerbo Nimis”, Teaching christian doctrine.

Resumen: El presente artículo de colaboración en esta revista es una investigación sobre la reacción que llevó a cabo el pontífice Pío X, publicando la encíclica Acerbo nimis, tras la eliminación por el Estado italiano de la enseñanza de la religion en las escuelas.

Palabras clave: Anticlericalismo, Educación, Encíclica “Acerbo nimis”, Enseñanza de la doctrina cristiana.

0.Premessa: dalle scuole private alla monopolizzazione statuale

Non è questa la sede per analizzare quel dibattito che incise non poco nello sviluppo della storia della scuola italiana ed europea; in questa sede basta rilevare quanto il Manacorda ebbe a sottolineare quando affermò che “al problema dell’istruzione pubblica furono date soluzioni diverse a seconda dell’ordinamento politico dello Stato, della maggiore o minore partecipazione alla vita intellettuale delle varie classi sociali, del prevalere dell’una o dell’altra tendenza politica, e più ancora, religiosa. La scuola tuttavia, come riceve l’impronta e avviamento dalla società in mezzo della quale vive, così, a sua volta, irradia correnti di pensiero, imprime impulsi efficaci, informa di sé anche fatti politici e sociali. Né questi fatti determinati dalla scuola riescono sempre consoni ai principi che essa ha diffuso; anzi essi, o vanno talora molto al di là della meta che lo Stato, il Comune, o un benefattore s’erano proposti aprendo una scuola, oppure, per reazione, appaiono improntati ai principi diametralmente opposti a quelli che la scuola aveva cercato di diffondere.

Dalle scuole dei Gesuiti e dai Seminari uscirono gli uomini della Rivoluzione francese e poi i garibaldini, i mazziniani: così nel medio evo dalle scuole vescovili e cenobiali uscirono gli spiriti fattivi e pratici dei nostri Comuni, e là, sui testi scolastici zeppi di riferimenti biblici, si formarono dapprima le menti, che dischiusero le vie all’umanesimo. — Tutto ciò può dare un’idea della complessità di uno studio di storia della scuola, nel quale è più che mai necessario di aguzzare l’occhio, sia per scorgere al di là del fatto, lo spirito che lo informa, sia, viceversa, per rendersi conto, se questo spirito che nella scuola fu, dirò così, accolto e coltivato, divenne poi, fuori di essa, nella vita, fattivo. — Uno studio di storia della scuola veramente completo deve essere triplice: occorre conoscere il pensiero filosofico e sociale dei vari tempi, per sapere quale concetto si ebbe dell’ufficio della scuola, e quale era il fine che a questa si assegnava. Questi principi teorici poi si traducono nelle leggi; ed ecco la ricerca da filosofica e pedagogica, divenire giuridica. Le leggi alla loro volta sono — o non sono — qua e là applicate, in tutto od in parte, e spesso si adattano e si flettono (oppure si deformano) a seconda dei luoghi e dei tempi, col variare delle condizioni di fatto, sulle quali esse vengono, per così dire, a stratificarsi. Cercare come il diritto corrisponda alla realtà della vita o in essa si traduca, questa è storia politica, economica, del costume”1.

Il problema in esame ha le sue lontane origini nella realtà socio-culturale, ma anche politica e giuridica del XVIII secolo, anche se nel secolo successivo oltre “ad accrescersi l’interesse dei pubblici poteri per l’insegnamento in genere e per la diffusione della cultura e della istruzione, si nota la progressiva monopolizzazione statale sulla materia scolastica”2. E ciò viene attuato sia in modo violento, ma anche capzioso e subdolo.

Di qui ne seguirono polemiche, lotte e contese giuridiche ma anche e soprattutto politiche, volte alla difesa della libertà della scuola proprio contro la volontà monopolizzatrice degli Stati. Basti ricordare la nuova contesa nella secolare disputa tra Chiesa e Stato nelle materie sulle quali sia l’autorità religiosa che quella civile rivendicano la propria potestà e competenza in materia di educazione della gioventù, e quindi anche in materia scolastica, dato il carattere confessionale di quasi tutte le scuole private, e dato il vitale interesse della Chiesa per il problema della educazione dei giovani3.

La Chiesa da sempre ha avuto l’interesse al sistema educativo, ribadendo l’esistenza di un vero e proprio diritto di cui la stessa è titolare; un diritto che, nell’ordine naturale, segue quello primario, preesistente e preminente dei genitori nei confronti dei figli, ma che a sua volta precede ogni diritto dello Stato all’educazione e all’istruzione4.

La dottrina ci attesta inoltre l’impegno profuso dai cattolici, transigenti e non, nei due secoli immediatamente precedenti5 in tutta l’Europa6 oltre che in Italia alla ricerca di una autonomia ben definita circa l’educazione nelle scuola. Facendo nostre, inoltre, le parole di una parte della dottrina, gli “sforzi che non sempre andarono a buon fine, dato che quello della libertà della scuola e dell’insegnamento fu un problema risolto in alcuni momenti in modo parziale ed equivoco, lasciando sul campo sospetti e diffidenze da parte dell’istituzione scolastica statale nei confronti delle scuole private; e dall’altro rendendosi difficile, se non impossibile, l’esercizio di un riconosciuto – almeno in via di principio – diritto di libertà di insegnamento e scolastica”7. Ciò è tanto più vero se si considera che “la tendenza monopolizzatrice dello Stato in materia scolastica ha le sue prime origini nel XVIII secolo, all’inizio del quale la scuola era un fatto essenzialmente privato, dato il secolare assenteismo del potere civile a riguardo, ed in massima parte dipendente dall’autorità ecclesiastica. Anzi, quasi sempre le scuole erano proprio l’espressione della Chiesa che sempre aveva dimostrato grande interesse per i problemi e le istituzioni educative, tanto che nella sua storia numerosi ordini e congregazioni religiose erano nati con il preciso ed unico scopo dell’insegnamento e dell’educazione”8.

1. Pio X e la reazione all’anticlericalismo: l’enciclica “Acerbo Nimis” e l’istituzione delle scuole di religione. L’esperienza di Roma

A seguito dell’unificazione italiana, veniva progressivamente eliminato l’insegnamento della religione nelle scuole che determinò anche un impoverimento generale dei fanciulli per tutto ciò che riguardava la catechesi cattolica. In definitiva si cercò di sostituire il catechismo cattolico da testi di educazione civica, o da opere come Le avventure di Pinocchio (1883) e Cuore (1886), cioè da volumi consigliati almeno come testi di lettura, cui “presiede quella laica religione della famiglia, della patria e del lavoro, da cui è sostanzialmente assente la «dottrina del parroco», ma non del tutto la religione, e attraverso la quale la borghesia italiana intendeva sviluppare il proprio disegno di unificazione e di egemonia culturale”9.

E proprio questa reazione all’espulsione dell’insegnamento religioso, portò al rinnovamento del catechismo cattolico che alla fine si concretizzò con la promulgazione di Pio X dell’enciclica Acerbo Nimis10 del 1905, indicando come rimedio la cura dell’insegnamento della dottrina cristiana, determinandone i tempi e frequenza del catechismo, e chiedendo l’istituzione in ogni parrocchia di una Arciconfraternità della dottrina cristiana11. Il testo di studio sarebbe stato il Catechismo della dottrina cristiana da lui dato alle stampe nel 1912 e che finì con l’essere la dottrina insegnata in quasi tutte le diocesi italiane fino all’epoca del Vaticano II.

L’Arciconfraternità sarebbe dipesa direttamente dal Cardinale Vicario e aveva un regolamento per il quale “doveva fondare scuole catechistiche, vigilare che l’insegnamento fosse impartito con unità di metodo e da persone idonee, formate in scuole superiori di religione”12.

L’11 settembre del 1906 il Vicariato inviò una circolare che – in linea con quanto aveva raccomandato il Ministero della P.I. nel 1870 con la Circolare a firma del Ministro Correnti – ricordava a tutti i parroci che i genitori potevano imporre l’obbligo dell’insegnamento della religione all’atto dell’iscrizione dei figli. Solo un paio di anni dopo entrava in vigore il Regolamento Rava del 6 febbraio 1908, n° 150 il quale stabilì che l’insegnamento della religione cattolica fosse impartito nelle scuole elementari a cura del Comune se la maggioranza del suo Consiglio fosse stata favorevole; altrimenti doveva essere a carico dei genitori in locali messi appositamente a disposizione. Da questo momento in poi per i successivi due anni, si fronteggiarono la Direzione Diocesana dell’Azione Cattolica, i genitori e il Vicariato di Roma da una parte e il Consiglio comunale di Roma dall’altra con tutta una serie di azioni a favore o contro l’insegnamento: dall’annullamento delle 6.000 e più richieste dei genitori da parte del Consiglio comunale, alla mancanza di aule; dalle richieste compiute dai genitori ed autenticati da atto notarile, alla stampa di oltre 30.000 depliant di spiegazione del Regolamento Rava distribuite a tutte le parrocchie di Roma13.

Questo confronto serrato portò nel dicembre del 1913 alla compilazione da parte della Direzione Centrale Didattica del Comune di Roma dell’elenco delle scuole comunali nelle quali sarebbe stato impartito l’insegnamento religioso, con l’indicazione del numero degli alunni scritti. E da questo momento in poi “l’esito del lavoro compiuto dipendeva ormai dai genitori”14. Le scuole attivate furono trenta15 e ogni anno ci fu un incremento sensibile fino ad arrivare al 1919 quando si stabilizzò il tutto. All’Unione delle Donne Cattoliche d’Italia della principessa Giustiniani Bandini16 fu affidato il compito di provvedere al personale insegnante selezionando i curricula di tutti i docenti volontari e il pontefice avrebbe provveduto con il contributo di 1.500 Lire per la stampa delle lezioni didattiche e dei catechismi.

Nel 1923 si contavano nelle scuole del catechismo oltre 54.000 fanciulli, ma si era all’alba di un rinnovamento generale di Gentile, i cui effetti sono presenti anche oggi.

2. Le esperienze delle scuole di religione locali: Torino

L’esperienza delle scuole di religione di Torino ricalca sostanzialmente quanto avveniva nelle altre città del Regno. La generale e accesa rimostranza del Pontefice, del clero e dei laici per i provvedimenti presi con la Circolare Correnti17, l’abolizione del direttore spirituale, l’eliminazione dalle scuole normali, la legge Coppino, il Regolamento Rava18 aveva comportato una reazione ed un confronto che portò ad ovviare alla mancanza dell’IRC con la creazione di scuole di catechismo in qualche modo sorrette economicamente dalle stesse famiglie e dalle diocesi.

Questo fenomeno non risparmiò Torino dove “il giovane sacerdote Agostino Richelmy […] iniziò ad organizzare corsi di insegnamento religioso destinati agli studenti delle scuole secondarie, in particolare quelle dei Licei cittadini”19. Era ancora una scuola di catechismo destinato ai figli di “civile condizione” e non già alle classi meno abbienti. E questa fu la particolarità delle scuole anche perché l’auto finanziamento da parte delle famiglie avrebbe determinato l’impossibilità dell’iscrizione a chi non se lo poteva permettere. La scuola venne chiamata Ginnasio Cattolico e nei primi tre anni di vita la scuola si limitava alle sole classi elementari per prepararli alla Comunione e Cresima.

I risultati incoraggianti portarono ad aprire altre sezioni con un corso superiore per i liceali e universitari finanche il corso femminile20.

Con l’enciclica Acerbo nimis del 190521 il pontefice Pio X sollecitò tutte le diocesi per un impegno maggiore nella promozione della formazione dei giovani, invitando tutti i vescovi a dedicare almeno un’ora durante la settimana all’insegnamento. Don Richelmy, che intanto era diventato Cardinale di Torino, esortava continuamente i cattolici a sostenere economicamente la Scuola con “oblazioni e con suggerimenti diretti a vincere la riluttanza dei mondani, a destare il sonno dei tiepidi e gli indifferenti”22 chiedendo oblazioni o donazioni testamentario e fissando, infine, in 5 lire l’iscrizione.

I maestri, tutti volontari, dovevano avere una cultura religiosa idonea all’insegnamento chiedendo di dare spiegazioni “sempre facili e chiare” e di “non entrare mai nel campo della politica”23. Le lezioni erano di 45 minuti.

Le scuole aumentarono progressivamente di numero24 proseguendo senza particolari cambiamenti nel primo dopoguerra. Con la riforma Gentile dell’ottobre del 1923 l’insegnamento della religione veniva posto “a fondamento e coronamento dell’istruzione elementare l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica, impartito da insegnanti reputati idonei dall’autorità ecclesiastica”. I genitori, inoltre, potevano chiedere l’esonero con domanda motivata. In buona sostanza l’insegnamento della religione risultava essere una tappa intermedia nel processo formativo e da qui l’esclusione nella scuola superiore.

In alcuni casi per iniziativa di provveditori e capi di istituto erano stati attivati i corsi di religione che furono successivamente riconosciuti dal successore di Gentile, Pietro Fedele, come stabilito dall’art. 62 del Regolamento dell’istruzione secondaria che autorizzava in tutte le scuole medie l’istituzione di insegnamenti facoltativi comprendendo anche quello religioso e subordinando alla vigilanza del preside. E fu così che le Scuole di religione furono soppiantate dai corsi facoltativi di religione arrivando ad avere più di 65.000 studenti con programmi e testi approvati direttamente dalla Sacra Congregazione del Concilio25.

3. L’esperienza partenopea

Il dibattito sulla scuola, che teneva banco in tutta Europa, giungeva all’improvviso e ovattato invece nelle appena unificate province meridionali d’Italia. E proprio a Napoli successivamente alla legge Casati, il giuramento di fedeltà al re a cui gli insegnanti erano obbligati in quanti impiegati pubblici dava a molti problemi di coscienza, tanto è vero che alcune maestre “furono costrette a lasciare l’insegnamento per non aver voluto prestare il giuramento di rito”26. Certo è che la legge piemontese trasferì nell’Italia meridionale innovazioni e limiti ed è pur vero che “questi ultimi apparvero subito più evidenti principalmente perché la filosofia della legge gravitava intorno alla responsabilità economica dei comuni in ordine all’istruzione elementare, e nel Mezzogiorno le amministrazioni municipali erano prive di adeguate risorse finanziarie, tanto da non riuscire normalmente a impedire l’evasione scolastica e da ricorrere spesso a maestri poco preparati e mal pagati”27.

A Napoli il cambiamento non fu percepibile perché il Comune non riformò nulla rispetto alla legge Casati. Tuttavia presero piede le scuole gratuite promosse soprattutto da padre Ludovico da Casoria per quanto riguarda quelle maschili e quelle promosse dalle Suore della carità per quanto riguarda quelle femminili. La nuova legge consentiva di tenere scuole private anche se molto spesso in essa gli indirizzi erano i più vari possibili a seconda degli obiettivi che si prefiggevano rifondatori. I controlli erano pressoché inesistenti e in questo contesto è emerso il fenomeno delle scuole protestanti che in epoca borbonica era assolutamente marginale e molto controllato soprattutto perché aperte solo agli stranieri. Successivamente sorsero numerose scuole protestanti registrando una incapacità da parte dei parroci ad affrontare efficacemente la situazione che stava avvenendo limitandosi questi a informare solamente i superiori a invocare rimedi del tutto inefficaci.

Alla fine si decise di combattere sullo stesso terreno creando nuove scuole gratuite da contrapporre a quelle protestanti. Queste erano diurne e destinate “ai figli dei popolani”28, ai quali si cercava di offrire “tutto, proprio alla lettera, quello fosse necessario per carta, libri, maestri”29.

Occorre ricordare in proposito che l’opinione diffusa fra i cattolici sul tema dell’insegnamento religioso si articolava intorno a quattro punti essenziali: l’educazione del fanciullo non era completa senza la religione; l’insegnamento religioso non era una mortificazione della libertà personale dell’alunno; l’educazione religiosa non poteva essere demandata al solo ambito familiare, perché così si sarebbe danneggiata la classe del popolo meno capace a questo compito o comunque indisponibile a causa del suo carico di lavoro; nessun genitore vorrebbe privare i figli dell’insegnamento religioso perché attraverso di esso si arricchisce la conoscenza e si arriva formare il carattere.

Come ha ben sottolineato la storiografia educativa, “in ambito cattolico, non volendo essere né bigotti né increduli, si chiedeva insomma che istruzione ed educazione si muovessero insieme”30, e quindi, “come non vi è educazione senza morale, e la base della morale è la religione, così bisogna procurare che l’educazione del popolo si informi ai principî del Vangelo”31.

Ma la nuova riorganizzazione era alle porte. Luigi Settembrini, in una indagine da lui promossa prima dell’Unità, sulla scolarizzazione del Regno Borbonico, denunciava che “su 3094 borgate obbligate da leggi borboniche a provvedere all’istruzione popolare, ben 1084 mancavano di ogni insegnamento, 920 mancavano di scuole femminili, 21 della maschile, così solo 999 erano i comuni e borgate in regola con la legge. Gli alunni maschi e femmine erano appena 67.431”32.

Dopo l’Unità italiana, lo sforzo maggiore per adeguare l’educazione e l’istruzione, fu compiuta dal cardinale Riario Sforza e si servì fondamentalmente delle Cappelle serotine (di invenzione di S. Alfonso Maria dè Liguori: in esse si ritrovavano giovani lavoratori, poveri e operai, radunati nel pomeriggio lungo le strade dei quartieri popolari per l’istruzione religiosa, la confessione e le pratiche devote33); delle Congregazioni di spirito (destinata la formazione religiosa degli adolescenti e degli studenti universitari provenienti dalle classi agiate34) e delle Scuole parrocchiali della dottrina cristiana (che provvedeva all’insegnamento del catechismo delle fanciulle35) che molto spesso interagivano tra di loro36.

Un particolare degno di nota era l’apertura delle “scuole degli artigianelli”, promosse dal sacerdote Gaspare de Luise, della congregazione dei Pii operai, nonché parroco di San Giorgio Maggiore. Questi volle l’apertura di diverse scuole serali dislocate nella città di Napoli che dovevano comunque avere una uniformità di insegnamento. Erano gratuite e destinate esclusivamente ad “artigianelli ed idioti”, e perciò “non si poteva raccogliere nei ragazzi del mezzo ceto, né quelli che provenivano da altre scuole cattoliche”37. In queste scuole si insegnava oltre alla religione, la lingua italiana, il disegno, la geometria, ma anche la meccanica, scrittura commerciale e ogni sabato era previsto il catechismo e le confessioni. Era chiaro che queste scuole andavano in qualche modo a contrastare quelle protestanti. Ma lo stesso de Luise volle formare anche i maestri dato che si iniziò già a parlare dal 1866 quando il Governo chiesto la “patente” anche agli insegnanti delle scuole gratuite.

Con l’avvento della legislazione Coppino del 1877, il legislatore si prefiggeva di vincere l’analfabetismo introducendo tutta una serie di obblighi per i ragazzi e per le famiglie. E puntava anche “ad affrontare in maniera decisa la questione dell’insegnamento della religione secondo il dominante spirito positivistico, con l’introduzione di «nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino» al posto della religione, che veniva lasciata alla scelta delle famiglie”38. Questa nuova le legislazione impose al nuovo arcivescovo Sanfelice una vigilanza molto particolare sul settore scolastico. E fu così che lo stesso, per evitare l’assenza dell’insegnamento religioso nelle scuole, volle potenziare l’insegnamento catechistico nelle realtà già esistenti quali le cappelle serotine, le congregazioni di spirito e le scuole parrocchiali della dottrina cristiana. L’insegnamento catechistico doveva essere offerto non più di una volta a settimana e per non meno di un’ora, “per non riuscire alla scuola gravoso ed impedire l’attendere ad altre lezioni”39. Il libro di testo doveva essere comune e uguale in tutte le scuole.

Con il nuovo secolo assunse la guida della diocesi di Napoli il cardinale Giuseppe Prisco che fu da subito sensibile al cambiamento progressivo che stava avvenendo riguardo all’istruzione scolastica. “Ad una quarantina d’anni all’unità d’Italia la scuola era in vivace cambiamento”40. Lo Stato stava investendo molto sull’istruzione di base, basti pensare alla legge Orlando (1904) che portava l’obbligo scolastico da tre a sei anni aumentando e riqualificando ancora di più il personale impegnato nell’insegnamento specialmente quello femminile. Ma soprattutto con l’applicazione della legge Daneo-Credaro (1911) che, sancendo il passaggio (avocazione) della scuola elementare dai comuni allo Stato e sottraendo di fatto l’insegnamento della religione cattolica al controllo dei Consigli comunali, salvo quelle dei capoluoghi, andava garantire l’istruzione elementare anche in quelle realtà locali molto degradate.

In tutta questa realtà di cambiamento il cardinale Prisco diede vita insieme al canonico Antonio Laviano, all’Opera della conservazione della fede, una pia società di catechiste cattoliche41 organizzate in due classi (le socie e le catechiste) che miravano all’insegnamento del catechismo cristiano. E fino a quando l’insegnamento della religione rimase facoltativo, le donne dell’Opera della congregazione della fede entrarono nelle scuole e impartirono le lezioni. Divenuto poi obbligatorio l’insegnamento della religione con la riforma Gentile, per disposizione del cardinale Alessio Ascalesi succeduto al Prisco, i sacerdoti assunsero l’incarico di insegnanti, mentre le signore dell’Opera si occuparono della preparazione dei fanciulli alla prima Comunione.

La Sacra Congregazione del Concilio sollecitò prontamente gli Ordinari diocesani a tracciare regole generali della scelta degli insegnanti di religione che “in linea generale dovevano essere gli stessi maestri, e si raccomandò che gli alunni, secondo le descrizioni canoniche, adoperassero solo testi dell’autorità ecclesiastica”42.

Recibido el 21 de noviembre de 2014 y aceptado el 5 de enero de 2015.

* Prof. dr. adv. Alessandro Bucci, Pontificio Istituto Orientale di Roma e Università degli Studi di Cassino.

Riferimenti

1 Cfr. così G. Manacorda, Storia della scuola in Italia, vol. I, Il Medioevo, Parte I, Storia del diritto scolastico, Milano-Palermo-Napoli, 1914, pp. VII-IX.

2 G. Dalla Torre, Sulla libertà della scuola in Italia, in Archivio Giuridico, vol. 188, f. 1-2, 1973, p. 96.

3 Per un approfondimento storico-istituzionale e programmatico dei rapporti tra Stato e cultura, e dell’intervento statuale nel campo dell’istruzione, con particolare riferimento alla situazione italiana, cfr. E. Spagna Musso, Lo Stato di cultura nella Costituzione italiana, Napoli, 1961; V. Zangara, Famiglia, scuola, costituzione, in RGS, 1962, pp. 315-347; G. Ricuperati – P. G. Zunino – S. Musso, Scuola e istituzione, in AA.VV., Guida all’Italia contemporanea 1861–1997, Milano, 1998, III, pp. 189-290. Per una sintesi della dottrina sulla storia della scuola in Italia, cfr. per tutti G. Talamo, Scuola, in C. Stajano (cur.), La cultura italiana del Novecento, Bari, 1996, pp. 653-686.

4 Sul punto sia i documenti del Magistero che la dottrina sono vastissimi, per cui risulta quasi impossibile riuscire ad essere esaustivi, anche perché questo problema «si ricollega alle più ampie problematiche relative ai rapporti tra Stato e Chiesa, alla libertà religiosa, alle concezioni naturalistiche dei diritti della famiglia precedenti a quelli dello Stato» (G. Dalla Torre, Sulla libertà della scuola in Italia, in Archivio Giuridico, vol. 188, f. 1-2, 1973, p. 96 nt. 10). Basti pensare per quanto riguarda il Magistero pontificio a Pio IX, con l’enciclica Quanta cura, dell’8 dicembre 1864; alla proposizione n° 48 del Syllabo, e allaepistola Quem non sine del 14 luglio 1864; o anche a Leone XIII nella sua allocuzione Summi pontificatus del 20 agosto 1880; ma anche alle successive Quod multum del 22 agosto 1886, Libertas del 30 giugno 1888, Sapientae christianae del 10 gennaio 1890, fino all’enciclica Rerum Novarum del 15 maggio 1891; Pio XI le encicliche Divini illius Magistri del 31 dicembre 1929 e Casti Connubii del 31 dicembre 1931. A ciò si deve anche ricomprendere la legislazione canonica che al canone 113 del Codice piano benedettino imponeva ai genitori “gravissima obligatione tenentur prolis educationem tum religiosam et moralem”, al quale si contrapponeva l’altro obbligo ancora più stringente per cui “pueri catholici scholas acatholicas, neutras, mixtas, quae nempe etiam acatholicis patent, ne frequentent” (1374). Per tutti cfr., R. Torquebiau, s.v. Enseignement, in D.D.C., V, Parigi, 1953, coll. 348-352. Per quanto riguarda la dottrina, oltre al già citato G. Dalla Torre, Sulla libertà della scuola in Italia, in Archivio Giuridico, vol. 188, f. 1-2, 1973, si ricorda G. Monti, Libertà scolastica, Roma, 1949; P. Castelli, Diritti e doveri della famiglia di fronte al problema scolastico, Roma, 1955; AA.VV., Società e scuola. Atti della 27° settimana sociale dei cattolici d’Italia (Trento 25 settembre – 1 ottobre 1955), Roma 1956; V. Sinistrero, La scuola cattolica, Torino, 1961.

5 Cfr. D. Julia, Riflessioni sulla recente storiografia dell’educazione in Europa: per una storia comparata delle culture scolastiche, in Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche, 1996, 3, pp. 119-147.

6 Sulla storiografia dell’educazione in Inghilterra, cfr. W. Richardson, Historians and educationists: the history of education as a field of study in post-war England, in History of Education, 1999, vol. 28, pp. 1-30, pp. 109-141; G. McCulloch, The history of education in England: the state of the art, in Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche, 2005, 12, pp. 269-279. Per il Belgio e l’Olanda, cfr. M. Depaepe – F. Simon, Is There any Place for the History of ‘Education’ in the ‘History of Education’? A Plea for the History of Everyday Educational Reality in -and outside Schools, in Paedagogica Historica, XXXI, 1, 1995, pp. 9-16. Per la Spagna, cfr. per tutti L. Luzuriaga, El analfabetismo en España, Madrid, 1919. Per l’evoluzione storica in Francia, cfr. G. Pozzi, Scuola e società nel dibattito dell’istruzione pubblica in Francia, Firenze, 1965 ed ivi ampia bibliografia; E. Vandermeersch, La longue marche de l’enseignement catholique, in Autrement, 42, 1982, pp. 24-28; O. Vallet, L’école catholique dans la société politique française, in Études, novembre 1980, pp. 479-491; A. Chervel, Histoire de l’enseignement du français du XVIIe siècle au XXe siècle, Paris, 2006.

7 G. Dalla Torre, Sulla libertà della scuola in Italia, in Archivio Giuridico, vol. 188, f. 1-2, 1973, p. 98.

8 Ibidem. Cfr., inoltre, C. Testore s.v. Scuola, in E.C., XI, Torino, 1955, col. [l. 187-198] 195.

9 G. Verucci, L’Italia laica prima e dopo l’Unità 1848-1876, Roma-Bari, 1962, p. 178; Il libro per la scuola dall’Unità al Fascismo. La normativa sui libri di testo dalla legge Casati alla riforma Gentile (1861-1922), a cura di A. Barausse, 2 voll., Macerata 2008.

10 In A.S.S., 37, 1904/1905, pp. 613-625.

11 Ricevettero l’approvazione canonica degli statuti nel 1905. Sulla storia, cfr. M. Catto, Un panopticon catechistico. L’Arciconfraternità della Dottrina Cristiana a Roma in età moderna, Roma, 2003.

12 Così D. Ricciolo, Le scuole di religione a Roma agli inizi del Novecento, in Annali di storia dell’educazione, 18, 2011, p. [p. 189-202] 190.

13 Ibidem, p. 193.

14 Ibidem, p. 197.

15 L’elenco completo si può trovare in D. Ricciolo, Le scuole di religione a Roma agli inizi del Novecento, in Annali di storia dell’educazione, 18, 2011, p. [p. 189-202] 198.

16 Per cui vedi sia nel saggio di Ricciolo citato, che P. Gaiotti De Biase, La nascita dell’organizzazione cattolica femminile nelle lettere di Cristina Giustiniani Bandini al Toniolo, in Ricerche per la storia religiosa di Roma, 2, 1978, pp. 225-271.

17 Circolare del 29 settembre 1870, a solo nove giorni dalla breccia di Porta Pia, che l’istruzione religiosa scolastica nelle scuole Elementari, venga impartita solo agli alunni i cui genitori ne abbiano fatto esplicita richiesta

18 Del 1908 e che lasciava liberi i Comuni di far impartire o meno la religione nelle scuole agli alunni i cui genitori ne avessero fatto esplicita richiesta

19 R. Sante di Pol, La scuola di religione a Torino, in Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche, 18, 2011, p. [pp. 21-39] 25.

20 Per lo svolgimento dell’orario delle lezioni, cfr. ibidem, p. 26 e soprattutto p. 27.

21 In A.S.S., 38, 1905, pp. 613-625.

22 R. Sante di Pol, La scuola di religione a Torino, in Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche, 18, 2011, p. [pp. 21-39] 33.

23 Ibidem, p. 36.

24 Per un elenco delle scuole, cfr. ibidem, p. 38, nota 66.

25 Sacra Congregazione del Concilio, Programma del corso superiore di religione nelle scuole magistrali, in Scuola e Clero, A. I, n° 4-5, novembre 1928, p. 54.

26 U. Dovere, “Né bigotti, né increduli”. Prime indagini sulle scuole di religione a Napoli tra unità e fascismo, in Annali di storia dell’educazione, 18, 2011, p. [pp. 133-158] 134.

27 Ibidem.

28 Archivio Storico Diocesano di Napoli, Curia Arcivescovile, Visite pastorali, 132 (Sisto Riario Sforza, IX), del 30 maggio 1871, ff. 24v-25r.

29 Ibidem, f. 214.

30 U. Dovere, “Né bigotti, né increduli”. Prime indagini sulle scuole di religione a Napoli tra unità e fascismo, in Annali di storia dell’educazione, 18, 2011, p. [pp. 133-158] 138.

31 A. Parato, La morale e la religione nelle scuole. Considerazioni proposte al VII Congresso pedagogico in Napoli, Torino, 1871, p. 59.

32 In I. Zambaldi, Storia della scuola elementare in Italia. Ordinamenti, pedagogia, didattica, Roma, 1975, p. 100.

33 Sulla scuola serotina, cfr. lo Statuto dell’associazione giovanile, sotto il titolo di Sant’Alfonso Maria dè Liguori, eretta nella propria di San Giorgio Maggiore, in La Civiltà Cattolica, 33, 1882, pp. 613-614.

34 U. Dovere, “Né bigotti, né increduli”. Prime indagini sulle scuole di religione a Napoli tra unità e fascismo, in Annali di storia dell’educazione, 18, 2011, p. [p. 133-158] 140.

35 Ibidem.

36 F. Di Domenico, La vita del cardinale Silvio Riario Sforza, Arcivescovo di Napoli, Napoli, 1904, pp. 189-192.

37 U. Dovere, “Né bigotti, né increduli”. Prime indagini sulle scuole di religione a Napoli tra unità e fascismo, in Annali di storia dell’educazione, 18, 2011, p. [p. 133-158] 142.

38 Ibidem, p. 144.

39 Ibidem, p. 145.

40 Ibidem, p. 154.

41 Sulla fondazione, cfr. Monsignor Antonio Laviano e l’Opera della conservazione della fede, in Bollettino ecclesiastico della Archidiocesi di Napoli, IV, 1923, pp. 81-82; ma anche G. Nardi, L’Opera della conservazione della fede a Napoli, Napoli, 1967.

42 U. Dovere, “Né bigotti, né increduli”. Prime indagini sulle scuole di religione a Napoli tra unità e fascismo, in Annali di storia dell’educazione, 18, 2011, [pp. 133-158], p. 158.






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