Revista europea de historia de las ideas políticas y de las instituciones públicas
ISSN versión electrónica: 2174-0135
ISSN versión impresa: 2386-6926
Depósito Legal: MA 2135-2014
Presidente del C.R.: Antonio Ortega Carrillo de Albornoz
Director: Manuel J. Peláez
Editor: Juan Carlos Martínez Coll
NACIMIENTO DEL INSTITUTO DE LOS LAICOS ITALIANOS EN REGGIO EMILIA (REGIÓN DE LA EMILIA-ROMAGNA) EN ABRIL DE 2015 Y CONSIDERACIONES COLATERALES SOBRE LA LAICIDAD ZARRAMPLINADA Y POLIPÓDICA
Manuel J. PELÁEZ
Resumen: Traducimos del italiano al castellano el texto que la Fundación Crítica Liberal nos ha hecho llegar sobre el nacimiento en la localidad de Reggio-Emilia del denominado "Instituto de los Laicos Italianos", en un encuentro que ha tenido lugar los días 18 y 19 de abril de 2015 en dicha población de la Emilia-Romagna. La creación parte de una iniciativa salida de liberales, masones, librepensadores italianos, uno de cuyos personajes más destacados e interlocutor nuestro es Enzo Marzo, a quien conocimos en París en 2004, en la Universidad de Nanterre, centro académico con una considerable vitola de progresista y avanzado. Desde la publicación periódica Critica liberale se vienen haciendo considerables ataques al catolicismo, personas e instituciones, a los distintos gobiernos italianos de Silvio Berlusconi, pero luego con no menor energía a los del partido democrático. En este propio mes de abril de 2015 se han dirigido las críticas contra la ministra de Instrucción Pública, Stefania Giannini porque «ha definido como escuadristas a aquellos que se han atrevido a disentir sobre la reforma de la escuela». Con un cierto sentido del humor desde Critica Liberale se han preguntado: «¿Es posible que una persona que se define a sí misma como glotóloga pueda llegar a ser tan ignorante de no saber siquiera lo que significa la palabra "escuadrismo"?». El modelo de laicidad que defiende el Instituto de los Laicos Italianos debe ser parecido a otros sistemas de laicidad existentes que no son pocos, y en su momento en el Congreso parisino escribimos sobre diversos tipos de laicidad, como la "pequeña laicidad", "laicidad confesional", "laicidad positiva", "laicidad francmasónica", "laicidad cívica", "laicidad inteligente", "laicidad benevolente", "laicidad de mínimos", "laicidad cristiana", "laicidad burguesa", "laicidad clerofóbica", "laicidad compartida", "laicidad crepuscular", "laicidad eleática", "laicidad rosa", "laicidad revisionista", "laicidad poliédrica", "laicidad asimétrica", etc. En este caso nuestra colaboración la ponemos en lengua italiana, en contraste con lo que hemos hecho con el documento de Reggio-Emilia de traducirlo al castellano.
Palabras clave: Laicidad, Instituto de los Laicos Italianos, "Critica Liberale", Enzo Marzo, Mauro Barberis, Piero Bellini, Gennaro Sasso, Masonería.
El presente artículo se inserta, parcialmente, en el Proyecto Inteliterm: Sistema inteligente de gestión terminológica para traductores (FFI2012-38881, 2012-2015. MEC)
La laicità è un tema pericoloso e di molte significati. Da tempo fa Enzo Marzo e altri compagni fanno dichiarazioni e portano avanti una rivista per la difesa della laicità, Critica liberale, una mostra del pensiero laico e liberale di sinistra.
Mà invece c’è una buona laicità. Questa difesa della buona laicità da parte del vescovo Agustín Cortés nel novembre 2005 si appoggia, come è consueto in diverse dichiarazioni clericali, sull’ordine di Gesù di Nazaret di «date a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio» [ci riguardiamo la nostra communicazione in lingua spagnola, con la conveniente e opportuna attualizzazione, “Teorías de la laicidad en España. Laicidad y legislación y política anticlerical de la Generalitat de Cataluña (1931-1938 y 2003-2005)”, in La laïcité dans le monde ibérique, ibéro-américain et méditerranéen: idéologies, institutions et pratiques, Colloquio internazionale, Università di Parigi X-Nanterre (Nanterre, 1-3 dicembre 2005), Parigi, Publidix, 2006, pp. 153-177]. La direttrice generale per gli affari di religione e pratiche cultuali in quel momento del governo della Catalogna, M. Coll Calaf (nominata dal Carod Rovira, persona non dotata di grande tatto) introdusse confusioni e il signor vescovo ne aggiunse altre in proprio. Il problema è che la parola idolatria risulta ugualmente diffusa e confusa, allora in lingua spagnola, secondo la Reggia Accademia spagnola, è la «adorazione che si dà agli idoli» ma anche l’amore eccessivo e veemente ad una persona o ad una cosa, per esempio a una ragazza che tutti questi liberaloni di destra dicono di essere molto in gamba. Cioè bisognerebbe capire con questo che, secondo il vescovo Cortés, un uomo non deve amare con passione e impetuosità la sua legittima sposa, o il signor vescovo si riferiva solo agli esseri inanimati ed immateriali? D’altra parte rispetto all’altra accezione i politici rarissimamente parlano di idoli. La parola greca είδωλάτρης dalla quale deriva quella castigliana, non chiarisce niente e semina ancor più confusione concettuale. Immaginiamo che bisogni intendere questo vescovo metaforicamente o in modo allegorico. L’arcivescovo di Barcellona Luis Martínez Sistach, noto canonista, addesso a punto di andare via fuori ruolo, aveva affermato nel marzo 2005 che «noi cristiani non abbiamo paura della laicità intesa come una giusta indipendenza dalle realtà temporali». Questo è quello che intende per laicità, mentre la sua definizione del laicismo si condensa nel prescindere da Dio e da Cristo nella vita, come se l’uomo potesse salvarsi da solo. Nel lontano dicembre del 2005 questo detto Martínez Sistach aveva precisato ciò che segue: «Noi vescovi della Catalogna [si capisce della Catalogna spagnola o da sud] abbiamo espresso la nostra opinione sul progetto del nuovo Statuto, appoggiando quello che possa servire d’aiuto per il paese, la lingua e la cultura propria della Catalogna, e esigendo che tutto si compia senza spirito di esclusione ma tenendo presenti le necessità reali della società, nella solidarietà e nel reciproco rispetto tra gli spagnoli. Inoltre, abbiamo espresso la nostra preoccupazione per quanto riguarda, il rispetto per la vita e l’educazione. Sono beni fondamentali che l’ordinamento giuridico deve rispettare e stimare». Quindi una possizione molto propria in difesa della vita umana dall’inizio fino al decesso.
Il nuovo Statuto della Catalogna, poi a Madrid, con il neghittoso Rodríguez Zapatero con le sue stronzaggine e cazzate, è stato molto modificato dalla Camera e dalla Corte costituzionale. Il voto contrario dei deputati del Partito Popolare è stato molto chiaro e non sfuggente. La proposta di riforma dello Statuto della Catalogna fu approvata il venerdì 30 di settembre 2005 dalla riunione plenaria del Parlamento della Catalogna con il voto favorevole di tutti gli schieramenti politici, molti laici declarati, con esclusione ugualmente del Partito Popolare. Il Consiglio consultivo della Generalitat della Catalogna aveva emesso una relazione nella quale si consideravano che numerosi articoli del progetto di Statuto potevano essere contrari alla Costituzione spagnola del 1978. Non ci interessa entrare nel modello territoriale che propone, nel grado di autonomia che pretende di raggiungere, nel sistema di finanziamento che postula, ma negli aspetti che possono avere alcuna relazione nel progetto, nel suo insieme di articoli, circa i temi riferiti alla laicità e all’anticlericalismo. A dire il vero questa materia non è stata quella che ha molto preoccupato i politici, ma sì risultano vistosi alcuni di quei contenuti espressi nell’articolo 20 dedicato a quello che si denomina «diritto a morire con dignità», in particolare nel suo comma secondo sta dando a vedere che si possono ammettere alcune forme di eutanasia. Si veda altrimenti, il contenuto della redazione dello stesso che segnala: «tutte le persone hanno diritto ad esprimere la loro volontà in maniera anticipata per far constare delle istruzioni circa gli interventi e i trattamenti medici che possano ricevere, che devono essere rispettati, nei limiti stabiliti dalla legge, specialmente dal personale sanitario, quando non siano in condizioni di esprimere personalmente la loro volontà».
Tuttavia dietro la morte degna c’è l’eutanasia attiva. Nel Comitato Consultivo di Bioetica della Catalogna fu elaborato un documento scritto in catalano di 45 pagine che sotto il titolo Informe sobre la eutanasia y la ayuda al suicidio, che redatto da un gruppo di lavoro fu presentato a dibattito di detto Comitato il 30 novembre del 2005. Il rapporto porta la data del 16 novembre 2005 ed è stato redatto da un insieme di medici di rilievo Rogeli Armengol, Marc Antoni Broggi, Ramon Espasa (storico consigliere della Sanità della Generalitat, deputato nel Parlamento della Catalogna e più tardi senatore; proviene dalla militanza nel Partito comunista catalano), Màrius Morlans e Josep Maria Busquets; anche le professoresse di Filosofia morale Margarita Boladeras e Victoria Camps, insieme a un altro filosofo Albert Royes, e per ultimo, proveniente dal mondo del diritto, troviamo solo un magistrato Javier Hernàndez e un avvocato Núria Terribas. Dove sono rimasti i professori di Filosofia del diritto, Diritto penale o Diritto Civile? In ragione di che cosa non li hanno tenuti in considerazione? Nonostante faccia una presentazione in apparenza plurale, si tratta di un modello che sostiene nettamente l’eutansia, intesa come morte volontaria. Riprende un’informazione molto copiosa mentre la definizione di concetti che risultano pericolosi e che potrebbero descriversi e concettualizzarsi in un altro modo.
Circa il suicidio assistito o l’aiuto al suicidio dà la seguente definizione che non offre nessun dubbio circa l’intenzione dei redattori del documento: «è l’azione di una persona che patisce una malattia inguaribile per porre fine alla sua vita e che conta sull’aiuto di un medico che gli fornisce i mezzi di sussistenza e le conoscenze per condurlo a fine. Quando la persona che aiuta è il proprio medico, parliamo di suicidio medicamente assistito». In qualsiasi caso i termini «morire con dignità» che appaiono asetticamente considerati nell’articolo 20 del progetto di riforma dello Statuto, il c.d. Informe intende nel senso di «dignità umana come fondamento dell’eutanasia», giacchè «l’eutanasia nel significato più letterale della parola, buona morte, è una maniera per vincolare il processo di morte con il valore più specifico dell’essere umano che è la dignità» e, in caso non fosse chiaro, il paragrafo 5.4 dell’ Informe porta per enunciato Què significa mort digna?, al quale si risponde che morire degnamente implica poter terminare la vita d’accordo con questo filo di coerenza, che ha unito il corpo, il pensiero, la memoria, le credenze e il fare di ogni giorno con la gente dell’ambiente. La peculiarità della dignità e la volontà di ognuno deve essere riconosciuta specialmente nel processo di morte. In questo processo la persona ha bisogno di un accompagnamento riverente ed amichevole che lo aiuti effettivamente o a comportarsi secondo il suo senso di dignità. La speranza di poter contare su un aiuto simile conforta e permette di aspettare la fine della vita con un sentimento di pace. Contenti non solo per le loro affermazoni, i redattori del rapporto precisaronno nel suo momento che il suicidio è depenalizzato in una società di uguali e liberi. Tutto ciò indicato: A) entra in contraddizione con la costituzione del 1978, che dovrebbe modificarsi al riguardo; ma ugualmente dovrebbe modificarsi l’articolo 143 del codice penale del 1995, che sanziona severamente l’induzione al suicidio e l’eutanasia, e in nessun caso prospetta la sua depenalizzazione. Inoltre si percepiscono altre lacune: B) la professionalità medica resta in proibizione e non appare ben regolata; C) l’Informe non parla nelle paggine 28-30 delle negative esperienze in Olanda, avallate da numerosi studi sociologici, della depenalizzazione portata a termine dalla legge 2001, di determinate ipotesi di eutanasia e aiuti al suicidio; D) l’eutanasia non è l’espressione più adeguata della dignità; E) gli autori dell’Informe interpretano male la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino dell’26 agosto del 1789 e la Dichiarazione dei diritti umani dell’Organizzazione delle Nazioni Unite del 1948; F) istanze ecclesiali spagnole continuano a considerare come molto grave questo deterioramento che si continua a produrre intorno al concetto di persona umana dalle istituzioni pubbliche; G) si osserva come la bioetica, la deontologia medica e la antropologia filosofica (di fondamento metafisico tradizionale) adottano sentieri separati che con frequenza a volte si allontanano e si distanziano ogni volta di più. Le nuove costruzioni possono farsi dall’etica della salute e dal nascente Biodiritto. Al termine del dettagliatissimo Informe gli autori proponevano una serie di raccomandazioni a favore della depenalizzazione dell’eutanasia, delle condizioni per portare a termine l’eutanasia e il sucidio medicamente assistito, del controllo e supervisione del comportamento dei professionisti della medicina mediante un comitato che incluso determinerà a posteriori se il comportamento dei medici si adattò ai requisiti e ugualmente ai procedimenti che furono stabiliti e regolati dalla legge.
Per quello che concerne l’insegnamento e all’educazione, l’articolo 21 raccoglie i diritti e doveri nell’ambito dell’educazione e indica l’acutissima frase secondo la quale nelle scuole pubbliche l’insegnamento è laico. Che significa questa affermazione secondo la quale è laico, quando si tenta di riconoscere che i progenitori... hanno assicurato il diritto che li assiste affinchè i loro figli e figlie ricevano la formazione religiosa e morale che sia d’accordo con le loro convinzioni nelle scuole pubbliche? D’altra parte si deve dire che l’accordo tra i partiti politici catalani di centro-destra e centro-sinistra, fu possibile, dopo una modifica dell’insieme degli articoli in virtù della quale si precisò che la laicità non doveva riferirsi alla totalità dell’insegnamento pubblico, come appariva ripreso nella proposta primitiva, ma esclusivamente alle “scuole pubbliche”. Questa correzione permetteva di mantenere al margine le scuole parificate che contano sul finanziamento pubblico, mentre si annetteva il principio nella redazione del testo, su iniziativa dei due schieramenti catalani nazionalisti centristi della redazione del comma 2, dell’art. 21, che finiamo appena di menzionare. Gli ecosocialisti e i comunisti si opposero alla redazione di detto comma, ma restarono in minoranza. Resta eliminata la formulazione concreta, che stava nella fase precedente di redazione dello statuto, secondo la quale «l’insegnamento pubblico è il laico». Inoltre, in caso non fosse chiaro, l’invocazione in una norma successiva risulta molto istruttiva al riguardo giacchè parla del «riconoscimento dei trattati e convegni internazionali firmati dalla Spagna», tra i quali bisogna logicamente includere tutti gli accordi del 1979 con la Santa Sede in diverse materie, inclusa proprio quella dell’insegnamento. Circa la proposta di Statuto, approvata in Catalogna, la Associazione Duran i Bas di giuristi cristiani, che porta il nome di uno dei più grandi giuristi sul quale ha contato la Catalogna in tutta la sua storia e allo stesso tempo politico liberale e di profonde convinzioni cristiane, Manuel Duran i Bas (1823-1907), manifestò la sua posizione critica rispetto al Statuto giacchè tentabba di imporre, secondo detta associazione, un modello sociale che conferisce al laicismo e all’ideologia del “non vincolo”, così diciamo divincolazione, la qualità di “principi del diritto catalano”, mentre risaltava la «assenza di qualsiasi menzione delle radici cristiane della Catalogna» (si veda il pensiero di Josep Torras i Bages, 1846-1916) e, dall’altra parte, la difesa della omosessualità e gli ideali e principi laici nella scuola pubblica catalana.
L’osservazione più acuta rispetto alla critica secondo la quale l’insegnamento pubblico sia laico viene data dalla seguente osservazione del gruppo Duran i Bas: «l’educazione non è un servizio pubblico: è un’attività libera di interesse generale». Questo comporta il prospettarsi quello che è o non è l’educazione, la sua essenza e i suoi fini, ma questo richiederebbe una riflessione più profonda da parte nostra. D’altra parte, pensiamo che l’art. 161 della proposta del Statuto attribuisce alla Generalitat ampie competenze in materia di rapporti con le confessioni religiose, ma non credo che a questo punto si possa parlare di un regime di laicità rigida, ma semplicemente di aconfessionalità e si tratta di ottimizzare i rapporti con le Chiese.
Quot capitum vivunt, totidem studiorum, è utile fare una serie di puntualizzazioni finali a modo di conclusioni storiche e di chiarificazioni di dati: 1) La Seconda Repubblica spagnola sviluppò una politica anticlericale, laicista e anticristiana, durante il biennio che si inaugurò il 14 aprile 1931 fino alle elezioni del novembre del 1933 e dal ritorno della sinistra al potere nel febbraio 1936 fino all’aprile 1938, nel quale si produsse un importante cambio, almeno a livello di dichiarazioni con i denominati 13 punti del Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Juan Negrín López e il suo ministro degli affari esteri Julio Álvarez del Vayo Olloqui (1891-1975) (socialista, e poi comunista, marxista-leninista), nei quali il numero 6 stabilisce come garanzia della sua proposta di pace i diritti dei cittadini alla libertà di coscienza mentre lo stato si preoccuperebbe di assicurare il libero esercizio delle credenze e pratiche religiose. L’8 dicembre 1938 Juan Negrín firmò il decreto che si pubblicò il giorno seguente nella Gazzetta di Madrid, con il quale si costituiva nel territorio della Repubblica il Commissariato generale dei culti che restava «incaricato dell’informazione, formalità e proposte delle questioni riguardanti l’esercizio di culti e la pratica delle attività religiose in Spagna».
2) La Seconda Repubblica spagnola sviluppò una politica anticlericale saldata con l’assassinio di 6832 sacerdoti, religiosi e suore, in dati forniti dalla minuziosissima opera di Antonio Montero Moreno pubblicata dalla collana Bac; insomma 4184 rappresentanti del clero laico, 2365 religiosi e 283 suore. I vescovi assasinati furono 13. In particolare in Catalogna, furono 1541 sacerdoti e religiosi delle quindi otto diocesi esistenti in Catalogna, quelli che caddero. Inoltre solo a Barcellona 220 chiese e cappelle furono incendiate e saccheggiate. Invece per la Federaciò de Joves Cristians il numero degli assasinati non raggiunse i 300. Tra le suore riuscirono a salvarsi in Catalogna il 97%.
3) Il segretario generale del Partito Comunista di Spagna José Díaz affermò il 5 marzo del 1937: «nelle province che dominiamo la chiesa non esiste più. La Spagna ha sorpassato di molto l’opera dei Soviets, perchè la chiesa in Spagna oggi è annientata». Il dirigente del partito dell’unificazione marxista Andreu Nin, el noi del sucre (il ragazzo di zucchero), aveva detto il primo agosto1936: «la classe operaia ha risolto il problema della chiesa facilmente, non lasciando in piedi niente».
4) Tuttavia, la Generalitat della Catalogna, durante la guerra civile, e in particolare il suo presidente Lluís Companys Jover (1883-1940) e il consigliere della Cultura Ventura Gassol contribuirono a salvare numerose vite umane, tra le quali quelle del cardinale Vidal i Barraquer (1868-1943), quelle dei vescovi di Tortosa e Gerona, quelle dell‘abbate di Monserrat, e di centinaia di figlie della Carità. Una cosa è la Generalitat e altra ben distinta gli schieramenti sindacali o partiti politici come il Partito Socialista Unificato di Catalogna, l’Unione generale dei Lavoratori, la Confederazione nazionale del Lavoro, la Federazione Anarchista Iberica, il Partito di Unificazione Marxista, etc. Distinguiamo chiaramente chi furono gli assasini. Altra realtà istituzionale e politica differente sono i partiti catalani Esquerra Republicana de Catalunya, Estat Català, Acció Catalana e Unió Democràtica de Catalunya.
5) D’altra parte, la situazione in Catalogna cambiò notevolmente a partire dal maggio 1937. Da una parte una visione interessata, di tattica politica, è quella de Joseph Goebbels, nel suo piccolino libro, La verità sulla Spagna. Discorso al Congresso Nazionale del Partito, Norimberga 1937, Berlino, 1937, 31 pp. Buon rappresentante del cambio operato alla Catalogna è la conosciuta relazione elaborata dal democratico cristiano Josep Maria Trias i Peitx il 7 settembre 1937, che vale la pena pubblicare un’altra volta al completo: «secondo le ultime statistiche risiedono a Barcellona circa 2500/2700 sacerdoti e religiosi. Nel resto della Catalogna circa 1100/1300. Nelle carceri della Catalogna c’erano il 30 di giugno 600 (a Barcellona 400). Al difuori di Barcellona, le diocesi di maggior densità ecclesiastica sono attualmente quella di Gerona e Solsona. A Barcellona risiedono anche circa 4000 religiosi (sorelle della carità circa 2000). La maggioranza provengono dall’interno della Penisola. Attualmente si celebrano quotidianamente a Barcellona 2000 messe, cioè celebrano un 70% dei preti. Le domeniche e le feste comandate un 60% di quelli celebrano in piccole comunità familiari; questo servizio si intensifica ogni giorno di più ed è maggiore il numero di fedeli che usufruisce di esso. Va anche istituendosi il servizio religioso nelle città e borghi della Catalogna, generalmente a base di una visita settimanale, durante la quale il sacerdote incaricato dice la Santa Messa di fronte a un gruppo ridotto di fedeli sia confessando sia dopo distribuendo la Sacra Eucarestia di casa in casa. In determinati paesi si è ottenuta la residenza fissa di un prete con la tolleranza e il sostegno delle autorità locali» (si veda Hilari Raguer Sunyer, La Unió Democràtica de Catalunya i el seu temps, 1931-1939, Barcellona e Montserrat, 1976, immagine riprodotta senza l’indicazione di pagina).
6) Poi, nel territorio franchista, l’insieme di pastori protestanti assasinati dai nazionali è sconosciuto. Neanche si sa consapevolmente il numero esatto di sacerdoti baschi e navarri che furono assasinati dai falangisti e dai soldati carlisti. Si conoscono alcuni nomi, ma non si maneggiano i dati con l’esattezza e la precisione che sarebbero necessarie. Si calcola in 30 il numero dei sacerdoti fucilati, si fanno alcuni nomi, ma altri abbassano il numero a 19 e altri aumentano a 1300 quelli che i franchisti dichiararono come sacerdoti baschi “indesiderabili”, non fucilati naturalmente ma che furono trasferiti giocoforza ad altre diocesi. I collettivi per il recupero della memoria storica possono portare a compimento un compito molto positivo. I franchisti disposero di quasi 40 anni per documentare con chiarezza tutta la categoria di spropositi, abusi, assasinii. Gli sconfitti non poterono farlo. Nel 1932 c’erano nelle carceri della Repubblica 5492 uomini e 322 donne. Nel 1940 le carceri franchiste ospitavano 247487 uomini e 23232 donne. La maggior parte di quelli sono per delitti politici o come conseguenza della guerra. Le esecuzioni giudiziali del 1940 furono 6655 e quelle del 1941 2985, sommate al maggior numero che si da nel 1939, fino al 1950, furono giustiziati come conseguenza di una sentenza giudiziale in Spagna 22642 persone, molte di quelle logicamente, un’elevatissima percentuale è conseguenza della guerra civile. Si può guardare informazione molto precisa dal Gonzalo Redondo, Política, cultura y sociedad en la España de Franco, t. 1º, La configuración del Estado español, nacional y católico (1939-1947), Pamplona, 1999, p. 101. Con simile grado di precisione sorprendono ancor più la carenza di informazione che indicavamo al principio circa i pastori protestanti e sacerdoti baschi e navarri assasinati (tra altri, Alejandro Mendicute, Gervasio de Albizu, Joaquín Lecuona, Joaquín Arin, José María Ginel, Leonardo Guridi, Joaquín Otero, José Peñagaricano, José de Ariztimuño, etc.) e perseguitati [cfr. Françoise Beraza, La guerre en Pays Basque (1er Octobre 1936 – 26 Aout 1937) à travers la presse quotidienne de Paris, Università di Parigi IV, tesi di laurea, Parigi, 1981].
7) Lo Statuto di Catalogna del 15 settembre 1932 non contemplava in nessuno dei suoi articoli, a differenza della Costituzione spagnola del 1931, alcuna materia di laicità o anticlericalismo giacchè incluso negli Affari dell’istruzione restava soggetta all’art. 50 della Costituzione repubblicana. 8) L’attuale politica della Generalitat della Catalogna dal Presidente Artur Mas non ha niente a che vedere con il marchio anticlericale della Seconda Repubblica e della guerra civile, neppure dei precendenti governi tripartiti (socialista, nacionalista di centro sinistra e un’altro partito di ispirazione comunista e verde). Tutto si riduce a problemi minori in materia di accordi economici per l‘insegnamento privato, che non si respingono, libertà di scelta del centro docente non conformemente al criterio di radicazione, una inconcreta “scuola pubblica laica” che non sappiano in cosa consisterà quindi nella stessa continuerà a spiegarsi la religione cattolica dopo il decreto de 2015 del ministro Wert, e musulmana, se si richiede, alla pari che si garantisca che possa esserci l’insegnamento della religione nelle scuole private e nei centri concordati sostenuti dalla Generalitat. Si fa la eccezione del tema dell’eutanasia, sebbene questa è un affare pendente da determinare e sul quale non si può emettere un giudizio definitivo, giacchè si sta parlando di rapporti di comitati consultivi. Inoltre l’istituzione del consenso informato è una questione versatile, poliedrica, divergente e ambigua.
9) A mio modesto parere, come conclusione generale, la politica laicista e anticlericale dei governi della Generalitat con el tripartito fu una pura illusione, restando garantiti i diritti di uguaglianza e di formazione religiosa e morale dei figli conformemente alle convinzioni dei suoi progenitori. Adesso preoccupano di più altre cose come l’indipendenza.
10) Un’altra cosa ben distinta può essere l’esistenza di Gruppi o di persone individuali, tale è il caso di Ateus de Catalunya, la Lliga per la Laicitat, l’azione di alcune organizzazioni massoniche catalane o della “Federación de Madres y Padres de Alumnos” o alcuni segnali a livello locale, o le attività della Fondazione Ferrer Guardia. Quindi ditinguiamo tra privati e i poteri pubblici.
11) In qualsiasi caso, non possiamo immetterci nel tunnel del tempo. Quindi si dovrà aspettare l’evoluzione degli avvenimenti nei prossimi due anni, se il Governo della Generalitat e l’attuale maggioranza riesca ad arrivare fino alla fine della legislatura. Inoltre portare avanti determinate riforme in materia di laicità sarebbe possibile solo modificando l’art. 16 della Costituzione spagnola del 1978, sfida che è possibile sebbene risulta un po’ complicato. Pensiamo che lo Stato spagnolo e, quindi anche al momento, Catalogna, sono integrati in uno Stato aconfessionale, ma non laicista, neppure di regime di laicità stricto sensu, della laicità non qualificata e non sviluppata, quella autentica dello spirito che impregnò la legge francese di separazione, tanto nota, del 9 dicembre del 1905 [Informazioni su questo particolare, su i colloqui, incontri, etc., si veda Manuel J. Peláez, “La laïcité dans le monde ibérique, ibéro-américain et méditerranéen: idéologies, institutions et pratiques (Université de Paris X-Nanterre, 1-3 diciembre 2005)”, in Revista de Estudios Histórico-Jurídicos, Valparaíso, XXVIII (2006), pp. 784-811; M. J. Peláez, “Congresos y Jornadas conmemorativas del Centenario de la Ley francesa de 9 de diciembre de 1905 de separación del Estado y de las Iglesias”, in Revista de Estudios Histórico-Jurídicos, Valparaíso, XXIX (2007), pp. 651-659; Patricia Zambrana Moral e M. J. Peláez, “Más información sobre Congresos, actividades y jornadas conmemorativas del Centenario de la Ley francesa de 9 de diciembre de 1905 sobre separación del estado y de las iglesias. Laicidad a través de la bioética laica”, in Revista de Estudios Histórico-Jurídicos, Valparaíso, XXX (2008), pp. 705-718; M. J. Peláez, critica e osservazioni allussive sul libro di Jean-Michel Ducomte, La laïcité (“Les Essentiels de Milan”, Éditions Milan, Imp. Hérissey, Toulouse, 2009), 63 pp., in Revista de Estudios Histórico-Jurídicos, XXXII (2010), pp. 507-514]. Inoltre, la laicità, insomma in Catalogna, permetterà di approfondire la difesa tanto del diritto primario di uguaglianza quanto la difesa e la protezione giuridica del diritto alla disuguaglianza e alla differenza, in un paese o comunità autonoma, e anche nel futuro stato indipendente al di fuori della Unione europea, dove convivono gruppi culturali diversi, due lingue, varie religioni (sebbene la maggioritaria, con una differenza abissale, continua ad essere quella cattolica), un basso indice di pratica religiosa a la pari di un ancora più basso indice di apostasia (abbandono ufficiale della religione cattolica), non esclusivamente materiale o consensuale, e un chiaro senso infatti differenziale nazionale, con un numero ogni volta maggiore di proseliti dell’indipendenza e di modo che la Catalogna non solo sia una nazione (che già lo è), ma che si trasformi in uno Stato differente da quello spagnolo. Bisogna terminare con le mentalità giacobbine e partigiane dell’accentramento amministrativo. L’indipendenza è libertà, allo stesso modo che la laicità può essere libertà. I politici catalani si stanno facendo satanizzare da Madrid.
12) La parola laicità non è ammessa dalla Reale Accademia della Lingua spagnola, sebbene si è scritta e utizzata. Questa potrebbe essere la conclusione principale e allo stesso tempo rammarichevole di questo piccolo lavoro.
NACE EN REGGIO-EMILIA EL INSTITUTO DE LOS LAICOS ITALIANOS (TRADUCCIÓN DEL TEXTO AL CASTELLANO)
Con ocasión de las tradicionales Jornadas sobre la laicidad, que por fin han llegado a su sexto año de vida, ha sido presentado a los medios de comunicación y a los participantes el Instituto de los Laicos Italianos. Han hablado algunos de los promotores de la iniciativa: Emilio D’Orazio, Enzo Marzo, Maurizio Mori, Carlo Flamigni y Eugenio Lecaldano. Los honores de la casa han sido hechos por los promotores, Giorgio Salsi, fundador de las Jornadas por la laicidad en Reggio-Emilia. Se puede afirmar que, a estas alturas, no se ha concluido aún la fase constituyente del Instituto de los Laicos Italianos, pero en la presente coyuntura ya son muchos y destacados representantes de la cultura laica los que se han adherido, entre otros el director Bellocchio y el escritor Rea, los psicoanalistas Argentieri y Lingiardi, la politóloga Urbinati, el historiador Prosperi, los filósofos Sasso, Pierani, Donatelli y Neri, los juristas Rescigno, Pocar, Barberis, Borsellino, el físico Dolcini. Han manifestado su adhesión también Franzoni, Garrone y Levi della Torre. En la presentación ha participado Beppino Englaro, que en el Instituto de los laicos italianos será el testimonial de cuantos en la sociedad civil combaten a favor de la laicidad y de los derechos civiles.
Respondiendo a las preguntas del público asistente, los promotores del Instituto de los Laicos Italianos han aclarado que «el Instituto pretende ser un sujeto de reflexión y de propuesta general que desea convertirse en testigo y portavoz de los valores y del método de la laicidad. No sitúa como propósito estatutario el objetivo de desarrollar un trabajo de militancia política laica, no pretende erigirse para hacer la competencia a las organizaciones ya existentes».
¿Cuáles son sus objetivos? «El Instituto, con el parecer competente de sus miembros nacionales e internacionales y con la seriedad de su método laico, pretende enfrentarse y oponerse a toda clase de pensamiento dogmático, clerical o supersticioso. Sobre todo, si este pretende imponerse no con argumentos, sino con medidas imperativas, a través de la legislación o aprovechándose de la falta de información de las masas».
Pero, ¿en la práctica cómo pretende llevar a cabo sus objetivos? «El Instituto pondrá de relieve algunas tomas de posición comunes sobre cuestiones de método y sobre cuestiones que forman parte de la agenda cultural y política del momento de que se trate. El Instituto se preocupa de promover la libertad de investigación, incluso la más anticonformista posible, en todos los campos, encargar estudios, elaborar documentación y análisis para ofrecer a todos, particularmente a los más jóvenes, la posibilidad de lograr establecer criterios más meditados y más racionales, llegando incluso a presentar sobre algunos temas soluciones y reflexiones contrapuestas. Consecuentemente, se garantizará la absoluta libertad de pensamiento y de expresión de cada socio, declarando que cada tesis particular no es representativa del organismo en su totalidad. En definitiva se preocupa de reivindicar y de proporcionar una demostración concreta de la cualidad fundamental del laicismo: el reconocimiento de la pluralidad de ideas».
PREÁMBULO DEL ESTATUTO DE LA NUEVA INSTITUCIÓN, QUE RESUME BREVEMENTE LAS FINALIDADES Y OBJETIVOS DE LA MISMA
El Instituto de los Laicos Italianos se funda sobre los siguientes principios y se propone lograr los siguientes fines:
1.Libertad de ciencia y de conciencia.
2.Pleno reconocimiento del pluralismo cultural, religioso y de costumbres, como fundamento de la convivencia civil y del Estado de Derecho.
3.Afirmación de la validez del método de la investigación científica fundado sobre la experimentación y sobre el reconocimiento de su carácter conjetural y falible y, consecuentemente, rechazo de toda verdad, más o menos revelada y de toda autoridad dogmática. Teniendo presente que «cultura laica significa no encerrarse en un sistema de ideas y de principios definidos una vez para siempre».
4.Absoluta libertad de expresión, además de libertad para discutir y criticar cualquier costumbre, e idea política, moral, religiosa y filosófica, sin que persistan o se vuelvan a proponer áreas protegidas por privilegios identitarios; substancia de esta libertad de expresión es también el rechazo de toda sanción penal por el derecho de crítica, definido como "vilipendio".
5.Rechazo de toda clase de fundamentalismo, de todo sectarismo, de todo residuo supersticioso, de cualquier tipo de concepción de un Estado ético y "paternalista" en cualquier tipo de forma que se nos presente.
6.El Estado neutral no es "indiferente", al contrario tiene el gravoso cometido, por un lado, de ser la expresión de la ausencia de monopolísticas imposiciones ideológicas o confesionales; por otro lado, de garantizar iguales derechos e igualdad de condiciones para todos los ciudadanos y para todas sus creencias. Se ha de recordar una vez más que han sido los laicos quienes han luchado y conquistado la libertad religiosa para todos y no las Iglesias, sobre todo la Iglesia Católica, firmemente contraria durante siglos a cualquier libertad de culto a los demás.
7.Deber primario de un Estado democrático es el de proteger y asegurar a todos "el derecho civil" de poder decidir con absoluta libertad sobre sí mismo, sobre la propia vida y sobre la propia muerte, sobre la propia salud, sobre la propia conducta moral, sobre sus propios gustos sexuales, con la única limitación infranqueable de no menoscabar la igual libertad ajena.
8.De forma positiva, el Estado neutral supone una continua y progresiva superación de todas las condiciones (ignorancia, propaganda, condiciones sociales) que obstaculizan una formación autónoma de las opiniones y de las personalidades individuales.
9.De forma positiva, el Estado neutral deberá asegurar a todos, particularmente a los menores y a las personas indefensas, el derecho de que no sean sometidos a opiniones o modelos preconstituidos o impuestos por poderes externos, por parte de la familia, de las iglesias, de los partidos políticos, del propio estado.
10.La puesta fuera de juego de una concepción de estado ético premoderno significa la condena de las pretensiones de varios clericalismos de violar la vida privada de los ciudadanos imponiendo por ley, a todos, determinados comportamientos en lugar de otros, tanto a quienes forman parte de dichas confesiones como a otros a quienes no las reconocen como fuente normativa.
11.Reivindicación de la separación entre la Iglesia y el Estado, y defensa contra toda ingerencia que viole la libertad de los ciudadanos y la igualdad entre las diferentes creencias religiosas, y entre confesiones religiosas y organizaciones no confesionales y filosóficas. Igualmente se rechaza cualquier tipo de ingerencia pública en las organizaciones eclesiásticas.
12.Necesidad de la introducción en la Constitución de la neutralidad del Estado respecto a las alternativas religiosas de sus ciudadanos y también la introducción del principio de paridad y de la libertad de todos los cultos. De ello se deriva la derogación del concordato y de toda disciplina jurídica referente a los cultos distintos del católico que prevea para las minorías religiosas normas en nuestros días todavía provenientes del ventenio fascista, anulación de toda legislación que otorga directa o indirectamente a la religión católica privilegios formales o substanciales, financiación inconstitucional, privilegios fiscales y disparidad respecto a otras confesiones. Todo esto con violación del principio de igualdad de trato. Ha sido tachada la fórmula "Iglesia Católica como religión del Estado", pero substancialmente se mantienen intactos todos sus antiguos privilegios.
13.Reivindicación del valor central, en una sociedad democrática, de la escuela "pública" como una única garantía del pluralismo de las ideas. La escuela pública, con su estructura pluralista, tiene el cometido de tutelar al menos toda orientación unilateral, de cualquier forma de proselitismo y de toda presión susceptible de comprometer su libertad en sus opiniones preferenciales futuras. Conviene distinguir entre la escuela privada con finalidad de lucro, y al mismo tiempo garantizadora del pluralismo, y la escuela privada confesional (de momento solo católica, en el futuro también islámica), que tiene institucionalmente como fin primario el adoctrinamiento que es la negación del pluralismo cultural.
14.Superación del modelo único de familia y reconocimiento público, también normativo, de formas de convivencia con diversas denominaciones que establezcan diferentes niveles de vínculo y de derechos y deberes entre los contrayentes. [Recibido el 25 de abril de 2015].
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