Revista Crítica de Historia de las Relaciones Laborales y de la Política Social
ISSN versión electrónica: 2173-0822
Jerónimo Molina, Nada en las manos, Murcia, Los Papeles del Sitio, 2013, pp. 160.
Carlo Gambescia
Sommario: “Nada en las manos” è un piccolo lessico politico nello stile di Eugenio d’Ors Rovira (1881-1954). Il suo autore, Jerónimo Molina, è associato di Politica sociale presso l’Università di Murcia, disciplina alla quale egli ha dedicato due volumi, nonché studioso del realismo politico. Approccio quest’ultimo che costituisce la spina dorsale di quest’ultima sua fatica.
Parole chiave: Jerónimo Molina Cano, Carl Schmitt, Raymond Aron, Vilfredo Pareto.
Il realismo politico, capacità ‒come la definisce l’autore‒ di immaginare il disastro, conferisce al volume un’ aria malinconica ma non rassegnata: atteggiamento condiviso da altri scrittori appartenenti alla medesima corrente di pensiero: da Kautilya e Ibn Khaldun a Raymond Aron e Carl Schmitt, autori la cui vita e pensiero sono commentati nel libro con grande finezza.
Talvolta dispiace non conoscere nelle sue più ricche sfumature una lingua straniera. Per ragioni di lavoro si legge di tutto nei più diversi idiomi in modo vorace... Fin quando ci si imbatte in un libro che toglie il fiato, da cui separarsi è difficile, perché si vorrebbe rileggerlo per apprezzarne, sciogliendoli, anche i più sottili nodi linguistici.
Ecco la sensazione provata, una volta letto e chiuso, Nada en las manos (Los Papeles del Sitio), di Jerónimo Molina, associato di Politica sociale presso l’Università di Murcia in Spagna, già noto agli amici del nostro blog. Parliamo di uno studioso del “realismo politico”, con una sua precisa fisionomia, che merita grande attenzione. Ma anche di un filone di studi e pensiero, cui di recente, proprio in Italia, è stato dedicato un convegno (http://www.istitutodipolitica.it/wordpress/wp-content/uploads/2013/06/il-realismo-politico-Perugia-17-18-19-ottobre-2013.pdf).
Il piccolo, solo in apparenza, volume di Molina rientra classicamente nell’ eccellente tradizione del diario, anche epistolare, di viaggio intellettuale (con un modernissimo pendant, se non sbagliamo, di tipo "blogghista"): la stessa antica e severa tradizione, per intendersi, di Machiavelli, Tocqueville, Pareto, Schmitt. Nomi che possono costituire i gradini finali di una scala dorata verso le vette della scienza politica. Un percorso, come dire, ascensionale e soprattutto "augurale", al quale Molina, conoscendone l’umiltà, opporrà il più disincantato dei suoi sorrisi.
Il titolo coglie plasticamente lo sforzo sisifico di uno scienziato politico assolutamente consapevole di asserire, al contempo, troppo e troppo poco, soprattutto dinanzi all’infuocato divenire delle cose umane. Perché cosciente, come si legge, che la via del realismo politico ‒e qui Molina cita il nostro Giuseppe Ferrari‒ è la via del dolore, o se si preferisce la via dell’imperfezione. Detto altrimenti: di una scienza guardiana dei fatti, che però si vede costretta a parlare a un mondo imperfetto, composto di esseri che non ascoltano se non quello che ritengono più opportuno. Di qui, sotto gli umanissimi colpi del caso e della necessità, il poco che si fa troppo e il troppo che diviene poco, anche dall'alto di una cattedra immacolata. Ciò spiega perché il realista è poco amato e peggio giudicato. Non potrebbe essere diversamente: la verità dei fatti non è buona pagatrice, almeno nel presente. Soprattutto quando si afferma, con Freund, che il potere non è reazionario né rivoluzionario, ma solo uguale a se stesso. E che di conseguenza il rivoluzionario può trasformarsi in conservatore e il conservatore in rivoluzionario…
Ferrari, Freund, Aron, Maritain, Schmitt, Simmel, Ortega sono solo alcuni fra i tanti pensatori, inclusi altri, numerosi, acutissimi studiosi spagnoli, si pensi solo a Eugenio d’Ors, vero maestro della sintassi diaristica, puntualmente evocati da Molina. In qualche misura siamo davanti a una piccola enciclopedia ragionata capace di proiettare benefici fasci di luce sull’aspro cammino del realismo politico: da Kautyla e Tucidide a Dalmacio Negro e Günter Maschke.
Nada en las manos ruota intorno al triennio 2011-2103, anni difficili per la Spagna e per il mondo intero. E vi sono raccolti, senza mai perdere di vista la realtà, incontri, spunti interpretativi, riflessioni, note di lettura e traduzione, libri ritrovati, commemorazioni, aforismi e versi. Come nei suggestivi giochi di piazza di un tempo, il lettore si trova a osservare, e con partecipazione, un pensiero in equilibrio tra i microeventi della vita familiare e i macroeventi della vita sociale. Cade, non cade, cade? Non cade. Molina, da perfetto equilibrista dello spirito, si tiene in piedi sulla fune, posta tra le torri degli eventi privati e pubblici, grazie ai contrappesi che puntellano i punti d’appoggio della sua asta. E così si mette in salvo. Parliamo, fuor di metafora, delle costanti del politico (o “metapolitiche”, come ci piace chiamarle): quel che si ripete, con regolarità, nell’universo politico. Ecco i contrappesi cognitivi della politica, anche la più burrascosa: senza i quali resta difficilissimo abbassarne o alzarne il baricentro. Pertanto Molina non passeggia elegantemente tra le rovine come l’ultimo Schmitt, né si compiace di osservare le efferatezze della politica come Pareto, né celebra troppo gli antichi per opporli ai moderni come Machiavelli, né infine certifica, pur di controvoglia, processi storici dotati di forza propria, come Tocqueville.
La sua scienza politica è scienza dei limiti e dei cicli, a un tempo antica, moderna, postmoderna. Per quale ragione? Perché capace di metabolizzare, in chiave atemporale, l’esperienza politica alla luce del sic transit gloria mundi di cui sono imbevute le sue costanti. Anche sul piano personale. E qui il cerchio si chiude.
Parliamo, insomma, di uno studioso sobrio, che non scrive (relativamente) molto, ma legge e pensa tantissimo. Cosicché, quando prende la penna in mano, lascia sempre il segno. Grazie anche alla qualità della scrittura che consente a Molina di risalire, in poche dense battute, dal particolare (magari privato) all’universale (sempre politico). E qui, come dicevano all’inizio, il nostro dispiacere di non poter cogliere anche la più piccola sfumatura di uno stile sinuoso che avvolge e accompagna il lettore, indicando sempre il pro e il contro: la vitalità della lotta politica e la caducità dell’esistenza; la forza del pensiero interpretante e la fragilità degli esseri umani; la bellezza di uno sguardo fermo e disinteressato sul mondo e il senso del tempo che passa e che tutto cancella, inesorabilmente. Eccetto le costanti del politico... Insomma, un libro prezioso. Da tradurre súbito. [Recibida el 30 de mayo de 2013].
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